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Il “sogno” porta consiglio

Le visioni oniriche possono essere avvertimenti?

Se ricordiamo un sogno, quello che ci viene in mente è un caleidoscopio di immagini, spesso assurde; una sequenza di episodi senza senso compiuto, a volte indescrivibili; in certi casi in bianco e nero; in altri, a colori.

Eppure, i sogni non sono fatti di sole immagini, benché la visione sia sicuramente il senso più presente nell’attività onirica. Rappresentazioni poco comuni sono suoni o rumori; ma anche un’altra modalità auditiva è piuttosto infrequente: parole e frasi. 
Ogni tanto, nei sogni sentiamo qualcuno parlare, diciamo delle cose, leggiamo delle parole scritte. 
Nei sogni esistono due forme descritte come discorso:

1) dialoghi o espressioni che hanno un carattere sensoriale, in cui cioè le parole sono realmente sentite, scritte, lette o pronunciate.

2) Discorsi che non vengono uditi o articolati, ma semplicemente “pensati”.


Un esempio del primo tipo è lo spezzone del sogno che segue:
” […] dopo la moglie dei Robinson – personaggi di una serie televisiva – diceva al marito: “paga, hai avuto paura […]”. 

Un discorso apparente, quindi solamente immaginato è invece: “[… c’era una macchina a pedali, vecchia, somigliava un po’ ad una macchina da cucire e aveva una forma simile ad un fuso; qualcuno diceva che aveva anche i suoi lati positivi, ma io ne dubitavo […] “. 
Paragonando queste due modalità di discorso a quanto troviamo in un romanzo, potremmo dire che la prima può essere fatta equivalere ad un dialogo (o a un monologo); la seconda al riassunto di quella conversazione. 


I frammenti verbali di un sogno costituiscono un fenomeno molto particolare; l’inconscio, infatti, per quanto, secondo alcuni studiosi, possiede una forma di intelligenza – detta intelligenza emotiva – non è in grado di fare l’operazione logica o matematica più elementare: si destreggia con le parole, così come noi ci “destreggeremmo”  in un paese straniero a chiedere informazioni del tipo “dov’è l’ufficio del catasto” esprimendoci a gesti. 

Se la capacità linguistica o logica dell’inconscio è così limitata, viene da chiedersi come mai si prenda la briga di usare una forma di espressione del tutto astrusa per esso. 
Se ribaltiamo l’equazione e ci chiediamo perché gesticoliamo nel parlare, la risposta è che la descrizione di certi vissuti come le emozioni, la vista di un paesaggio o la comprensione di un processo di pensiero ci apparirebbe vuota se la illustrassimo esclusivamente a parole. 

Probabilmente, per l’inconscio vale la stessa cosa; certe informazioni risulterebbero approssimative, incomplete e sterili se raffigurate in un’immagine; così “ce la metterebbe tutta” per tradurle in termini verbali. 
L’inconscio, proprio per la sua limitata dimestichezza con il linguaggio, nel “comporre” le frasi, adotta un processo simile ad un collage fatto con i ritagli di giornali; frasi udite, dette, lette o pensate vengono prese, accorpate, contratte, allungate.  Una donna che, avendo avuto un rapporto sessuale a rischio, aveva preso la pillola del giorno dopo, sognò ” […] ero in auto e c’era stato un incidente, ed era buio, così andavo nel baule della macchina per prendere la pi-llo-la […]”.  Le parole possono poi essere impiegate per la loro similitudine fonetica con il reale riferimento; un esempio è quello di una sognatrice in psicoterapia che racconta: “[…] sogno che devo discutere la tesi […].  Il professore – di frequente, un simbolo del terapista – come prima domanda mi chiede che cosa avevo notato mancasse nelle bancarelle di frutta e verdura; io vengo colta dal panico e rispondo intuitivamente: la papaia […]”.  Il nome “papaia” somiglia effettivamente al sostantivo “papà” e, in effetti, l’analisi del suo rapporto con il padre era stato trascurato fino a quel momento.


Il criterio della somiglianza nel suono non vale solo per capire il senso delle parole sentite nel sogno, ma è un modo anche per comprendere determinate scene oniriche a partire dal racconto che ne fa il sognatore; così, ad esempio, un individuo fece il seguente sogno: ” […] io ero l’autista di una persona e la portavo in un posto molto bello; c’era un lago.  La strada di questo posto era allagata ed eravamo su una specie di canoa e io pagaiavo […]”.  Chi riportava quel sogno aveva a quel tempo una fidanzata che lo sfruttava e che “scarrozzava” dappertutto; tanto che lei lo aveva definito “scherzosamente”  il suo “autista”.  Inoltre, lei si faceva sempre offrire quando uscivano: a cena o al cinema era sempre lui a pagare (“paga-ia-vo”).


Le frasi dei sogni sono gli elementi in genere più difficili da ricordare di quell’esperienza,    ma   secondo   alcuni   eminenti   psicoanalisti   (Rosalind 
Cartwright, Robert Langs), le parole e le “escursioni” oniriche nel loro insieme, ci mettono sull’avviso che c’è qualcosa che non va nella nostra vita. 
Qualcosa che preferiamo nasconderci o di cui non siamo consapevoli.  Se quindi l’inconscio fa lo sforzo di usare una “lingua” (quella verbale), che mastica decisamente male per “darci l’allarme”, allora dovremmo veramente stare ad ascoltarlo. 
E cercare a nostra volta di metterci tutto l’impegno per capirlo.

Per approfondire l’argomento:

Marco Pacori:
I Segreti del
Linguaggio del Corpo

ed. Sperling&Kupfer,
ottobre 2010
Marco Pacori:
Il Linguaggio del
Corpo in Amore

ed.Sperling&Kupfer,
ottobre 2011
Marco Pacori:
Il linguaggio segreto
della Menzogna

ed.Sperling&Kupfer,
ottobre 2012

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