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Comportamento e abitudini dei viaggiotori in treno

Tattica e strategia del viaggio ferroviario. Tra “riservatori”, “invadadenti, “narratori”…

C’è chi dorme, chi ne approfitta per lavorare al computer, chi racconta ai vicini la storia della sua famiglia, chi parla al telefonino, chi si corteggia, persino chi organizza feste di compleanno. Tutto viaggiando da una città all’altra.

Il treno è il mezzo di trasporto dove più è facile socializzare, sedut i per ore accanto ad altre persone. Dove nascono amicizie tra viaggiatori. Dove si passa il tempo facendo le cose più diverse: leggere il giornale, mangiare, giocare a carte… Lo sanno bene i molti italiani, 1,3 milioni al giorno, che viaggiano sui treni regionali e interregionali. E i 70 milioni di viaggiatori all’anno che salgono sui treni a media e lunga percorrenza.

Proprio sul “popolo del treno” il regista Nanny Loy costruì nel 1977 la trasmissione “Viaggio in seconda classe”, entrata nella storia della tv. In un vagone attrezzato con telecamere e microfoni nascosti, con diversi travestimenti (ex galeotto, sacerdote, ecc.), Loy coinvolgeva i viaggiatori, raccogliendone conversazioni e confidenze.

Scansione istantanea
Fare conoscenza, chiacchierare, partecipare ai discorsi sono infatti alcuni dei tipici “comportamenti da vagone”: una mini-comunità in uno spazio ristretto, dove si entra comunque in relazione con gli altri.
Già al momento della scelta del posto (quando è possibile) facciamo una istantanea “scansione” degli scompartimenti e delle persone. Valutiamo con uno sguardo i possibili compagni di viaggio. «Consideriamo l’aspetto fisico e il modo di vestire: abbiamo la necessità di valutare, in un attimo, gli sconosciuti con cui dobbiamo stare in uno spazio ristretto. Con le persone di aspetto “gradevole” l’interazione è più facile» spiega Marco Pacori, psicologo esperto in comunicazione non verbale.
Gli psicologi inglesi Houston e Bull hanno studiato questo giudizio istantaneo, basato sull’aspetto fisico: hanno mandato sui treni la stessa persona, con finte voglie o cicatrici in viso o con il suo aspetto normale, e hanno esaminato la frequenza con cui i posti accanto venivano occupati. Quando la persona presentava difetti fisici, i sedili vicini restavano vuoti più spesso.

• Dove mi siedo?
Naturalmente anche lo spazio conta. «Quando si sale su una carrozza a scompartimenti si ignora il primo: viene vissuto come troppo esposto. Si cerca una nicchia protretta. «In un ambiente non familiare, si preferisce mantenere la distanza dagli altri». Altri fattori vengono valutati in un istante, anche se non a livello cosciente. «Per esempio, se qualcuno dei viaggiatori già nello scompartimento è in piedi per sistemare i suoi bagagli, chi deve entrare si sente più inibito: una persona in piedi “occupa” lo spazio. Ci si sente maggiormente a proprio agio entrando dove tutti sono seduti» dice Pacori.«Ma anche le persone che occupano i posti verso il corridoio sono percepite come una barriera: ci si sente più autorizzati a entrare dove non si deve “superare” nessuno. E ci sentiamo meno a disagio, entrando,se le persone non ci stanno
guardando».
“Frena” anche vedere borse messe da qualche passeggero sul sedile accanto al suo: bisogna comunque chiedere se il posto è occupato.

• Spazio personale
Prendendo posto, si mette immediatamente qualcosa sul sedile: la giacca, una borsa. «E un modo per prendere possesso del territorio» dice Marco Pacori. Il sedile diventa il proprio spazio personale: tanto che il segno della presenza precedente di altri ci infastidisce.
L’antropologo americano Edward Hall, padre della prossemica (lo studio dell’uso che l’uo-mo fa dello spazio, stabilendo distanze tra sé e gli altri), ha esaminato proprio il senso di di-sagio provato nel sedersi su un se-dile caldo perché appena lasciato da un’altra persona. «Il calore residuo viene vissuto come una sorta di contaminazione, al punto che ci si può anche alzare per cambiare posto» spiega Pacori. Nel tentativo di delimitare il proprio spazio c’è chi mette “barriere” sul sedile, tra sé e gli altri, per sentirsi al riparo: anche solo la bottiglia d’acqua o la borsa. E c’è chi addirittura esprime il desiderio di non volere intrusi chiudendo la porta.

Per continuare a leggere l’articolo clicca qua)

Giovanna Camardo, “Tipi da treno” (Focus, intervista a Marco Pacori)

Per approfondire l’argomento:

Marco Pacori: I Segreti del Linguaggio del Corpo
ed. Sperling&Kupfer,
ottobre 2010
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