Tra gli animali, l’olfatto é essenziale per distinguere, localizzare e identificare la presenza di predatori nelle vicinanze; l’odorato é così sviluppato nelle altre specie che é sufficiente la presenza di un predatore per suscitare un’incontrollata reazione di paura e di ansia.
Elizabeth Krusemark e Wen Li dell’Università del Wisconsin-Madison negli U.S.A. hanno ipotizzato che una reazione simile possa essere conservata anche dall’essere umano.
Per verificarlo hanno coinvolto 14 giovani adulti a cui sono stati fatti annusare tre tipi di odori: un odore naturale, ma “anonimo”; una miscela di odori naturali e neutri e una mescolanza di odori che di norma vengono percepiti come sgradevoli. Tutti i soggetti nel momento in cui “sniffavano” venivano monitorato con la fMRI (Risonanza magnetica funzionale), uno strumento per visualizzare il cervello mentre funziona.
Questi ricercatori hanno così potuto accertare che più un individuo é in ansia più aumenta la sua capacità di cogliere i cattivi odori; inoltre, i soggetti ansiosi per temperamento si é erano mostrati particolarmente sensibili a questo tanfo.
Quest’esito dimostra, commentano gli autori dello studio, che l’uomo tende a percepire un senso di allarme in presenza di odori associati ad un pericolo.
Nelle specie inferiori il pericolo é colto non solo nell’odore di un predatore, ma anche da particolari sostanze chimiche volatili che i membri del proprio branco emettono quando percepiscono una minaccia incombente.
Anche questo istinto non é stato del tutto perduto dall’essere umano.
I primi a scoprirlo sono stati gli etologi austriaci Kerstin Ackerl, Michaela Atzmueller e Karl Grammer nel 2002, pubblicando gli esiti della loro ricerca sulla prestigiosa rivista Neuroendocrinology Letters.
Questi studiosi hanno reclutato 42 donne cui hanno fatto vedere un film dell’orrore il primo giorno e un film neutrale il giorno successivo: nel corso delle proiezioni le volontarie portavano dei tamponi ascellari che raccoglievano il loro sudore.
Questi tamponi sono stati quindi messi in delle bottiglie che sono state fatte annusare ad altre 62 rappresentanti del gentil sesso.
L’esito ha dimostrato che le “sommelier” erano in grado di discriminare tra le bottiglie di chi aveva visto il film neutro e quelle di chi aveva assistito al lungometraggio del terrore: in conclusione, è stato quindi possibile accertare che noi siamo ancora in grado di riconoscere l’odore della paura.
Ad approfondire il risultato di questa indagine ci hanno pensato i neuroscienziati Lilianne Mujica-Parodi e Helmut Strey.
Basondosi sulla precedente ricerca hanno per prima cosa raccolto dei tamponi ascellari di una categoria che per praticare la propria passione rischia ogni volta la vita: una squadra di paracadutisti.
La traspirazione degli sportivi é stato quindi distillata, immesso in dei nebulizzatori e fatta respirare ad un gruppo di volontari; nel mentre la loro attività cerebrali é stato controllata con la fRMI.
Si é appurato così che durante l’inalazione si attivavano due aree deputate alla sopravvivenza (e quindi sensibili ad ogni segno di pericolo): l’amigdala e l’ipotalamo; soprendentemente mentre questo accadeva i volontari coscientemente non avvertivano nessuna sensazione di paura, quindi il messaggio era totalmente subliminale o inconscio.
Per approfondire |
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Questo dimostra che l’odore (o più precisamente, il feromone) della paura ha un potere contagioso.
Potenzialmente, quindi potrebbe diventare un modo per infondere in un ipotetico nemico un sentimento di insicurezza e di timore … e di sicuro delle truppe intimorite e inquiete sono molto meno efficienti.
Fantascienza? Nemmeno tanto, considerato che questo studio é stato sovvenzionato dall’ARPA (Advanced Research Project Agency), il settore che promuove la ricerca scientifica all’interno del Pentagono…altro che armi batteriologiche, panico puro!