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Le emozioni sono contagiose

Sono passati pressappoco 20 anni da quando Elaine Hatfield, psicoterapeuta e docente di psicologia presso l’Università delle Hawaii, ha cominciato a notare qualcosa di strano nel modo in cui si sentiva durante una consulenza: ad esempio, ogni volta che aveva un appuntamento con un certo paziente apparentemente allegro, la Hatfield avvertiva una sensazione di inpiegabile depressione; altre volte, durante dei colloqui con un giovane uomo che dava l’idea di essere affabile e sciolto, provava un insolito senso di
timidezza.

La psicoterapeuta si era accorta poi che questo non avveniva solo nel corso delle sedute, ma anche con i colleghi: parlando con un altro docente sfacciatamente competivo e sprezzante, ad esempio, aveva avuto l’impressione di aver detto qualcosa di stupido, sebbene sapesse di non averlo fatto.
Nei successivi incontri, ha cominciato ad accorgersi che lui mostrava brevi espressioni d’ansia, la sua voce tendeva a farsi più acuta e stridula e, spesso, spostava il peso del corpo da un piede all’altro.

E’ lì che si era resa conto che “questo disagio non stava succedendo dentro di me“, commenta, “ma in lui. Lo stesso accadeva con i miei pazienti: assorbivo quello che loro provavano dentro.”

Partendo da queste constazioni la Hatfield, assieme ad altri ricercatori, ha cominciato ad indagare queste esperienze in modo scientifico e ha identificato quello che ha definito “contagio emotivo“.

Le indagini al riguardo hanno dimostrato che fin dalla tenera età, abbiamo una tendenza ad mimare le espressioni facciali, le posture, e le voci della gente intorno a noi: questa imitazione avviene, per lo più in modo inconsapevole, e ci porta, di riflesso, a provare gli stessi stati d’animo delle persone con cui abbiamo a che fare.

Il mimetismo è un meccanismo biologico innato che conferisce un vantaggio evolutivo“, afferma Peter Totterdell, ricercatore presso l’Università di Sheffield, in Inghilterra. “Ti aiuta a capire ciò che un’altra persona si sente e pensa, anche quando quest’ultima tenta di nasconderlo.”

Noi, in effetti, tutti siamo piuttosto coscienti di poter cogliere numerose informazioni sugli altri osservando e interprentando il loro comportamento; non siamo però altrettanto consapevoli che possiamo saperne ancora di più facendo attenzione alle nostre reazioni emotive nel corso delle interazioni sociali.

Questo effetto non avviene solo a causa dell’imitazione, ma anche della percezione dell’odore emanato dall’altro quando vive una certa emozione: è la conclusione a cui sono giunti Gün Semin, Jasper de Groot, Monique Smeets e altri studiosi dell’Università di Utrecht in Olanda.

Per verificare la loro ipotesi, Gün e i suoi colleghi hanno reclutato un gruppo di 10 uomini cui hanno chiesto di indossare dei tamponi ascellari durante la visione di film che suscitavano disgusto oppure paura.
A tutti i volontari era stato chiesto di astenersi dall’assumere alcolici, dal fumare, dal mangiare cibi troppo speziati o dal fare esercizio fisico per non alterare il proprio odore di pelle.

Dopo che i partecipanti avevano assistito all’uno o all’altro tipo di video, i tamponi venivano inseriti in dei vasetti e messi in frigo.

In un momento successivo, 36 donne destrimani avevano il compito di trovare delle figure in un disegno (un po’ sullo stile di quelle vignette che si trovano nei giornali di egnimistica): mentre lo facevano, venivano misurati gli spostamenti oculari con un apparecchiatura chiamata “eye tracking” e le contrazioni del lato sinistro del loro volto (la parte più genuina e meno controllato della faccia – almeno in chi usa preferenzialmente la destra); prima che cominciassero a svolgere l’esercizio, erano state loro inserite delle cannule nelle narici che diffondevano l’odore delle pezze ascellari.

L’esito dell’esperimento ha del soprendente: le donne in questione mostravano le stesse espressioni dei volto dei donatori: quindi paura se annusavano i tamponi di chi aveva visto i film spaventosi e disgusto in chi aveva assistito ai filmati con scene repellenti! Più nello specifico, le prime esibivano una contrazione del muscolo frontale che produce un sollevamento delle sopracciglia e un loro avvicinamento ed é l’atteggiamento che meglio esprime il sentimento di paura; le seconde invece mostravano segni di tensione nell’elevatore labiale che conferisce al volto il tipico che conferisce al volto il tipico atteggiamento disgustato alla bocca le labbra spinte verso l’alto e gli angoli in giù) e al naso (che appare arricciato).

Per approfondire

Inoltre, l’Eye Tracking ha messo in luce che, sniffare la “paura” portava ad un aumento della frequenza dei movimenti oculari, come a cercare un potenziale pericolo nei dintorni oppure a individuare una via di fuga.

Ancora più eclatante é il fatto che le donne dello studio non si fossero rese conto di nulla; in pratica, non solo venivano influenzate dall’odore, ma la loro mimica facciale mostrava la stessa emozione dei “donatori” di sudore… e in modo del tutto inconsapevole.

In conclusione, questo é il primo studio a provare che basta sentire l'”odore” di un’emozione per venirne contagiati!

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