Sicuramente, in questo processo di indagine il volto e le sue espressioni la fanno da padrone: per questo motivo hanno ricevuto molta attenzione dalla scienza, che le ha esaminate in lungo e in largo.
Paul Ekman, uno dei massimi esperti al riguardo, ha indentificato le modificazioni che si osservano in un volto quando uno prova una certa emozione e ha dato prova che questi atteggiamenti sono universali.
Sulla base di questo assunto, lo studioso ha postulato che basta abituarsi a cogliere questi cambiamenti per comprendere quali emozioni viva chi stiamo osservando.
Altri studiosi però, come Hillel Aviezerm, Ran Hassin o James Carroll e James Russell hanno messo dubbio questo presupposto: le loro ricerche hanno posto in evidenza che posture e altri segnali del corpo o il contesto in cui si coglie una data espressione facciale possano alterare il senso di un messaggio trasmesso da quest’ultima e, alle volte, contribuire a interpretare correttamente la mimica del volto.
Questo vale in particolare se le emozioni sono molto sentite: lo dimostra una recente ricerca degli psicologi Hillel Aviezer, Yaacov Trope e Alexander Todorov; nel loro studio é infatto emerso che gesti e altri atteggiamento del corpo danno un senso a delle espressioni facciali che di per sè potebbero risultare ambigue.
Per giungere a questa conclusione gli studiosi hanno condotto una serie di esperimenti partendo da due considerazioni: nei classiche indagini sulla mimica facciale vengono generalmente impiegate delle espressioni facciali codificate, che mostrano in modo evidente e marcato le emozioni che esprimono; per contro, nell’esperienza quotidiana abbiamo a che fare con atteggiamenti del volto molto più subdoli e articolati.
Inoltre, la neurobiologia ha messo in luce che sofferenza e piacere sono ambedue regolati dal sistema dell’endorfina (un ormone prodotto dall’ipofisi, ma che interviene negli scambi tra le cellule del cervello) e dalla dopamina (un neurotrasmettitore che riveste una grossa importanza nella percezione del piacere); per altro, le due esperienze emotive vengono elaborate dallo stesso sistema cerebrale, il cosiddetto “circuito della ricompensa”, di cui fanno parte l’insula, il corpo striato, la corteccia orbitofrontale, l’amigdala e il nucleo accumbens.
Dal momento che buona parte delle ricerche sulla mimica facciale hanno fatto uso di foto che esprimevano un’emozione in modo moderato, Avezier e i suoi collaboratori si sono concentrati su immagini che comunicassero emozioni intense, ricorrendo a delle scene tratte dalla realtà: più nello specifico, hanno scelto delle istantanee che ritraevano dei giocatori di tennis nel momento in cui avevano appena guadagnato o perso il punto che decretava l’esito finale della partita.
In una prima fase dello studio, sono state mostrati ad a un gruppo di “giudici” solo i volti dei tennisti, chiedendo loro di stabilire quale fosse l’emozione provata dalla persona ritratta: ne é emerso che i partecipanti non erano in grado di dire se si trovassero di fronte ad un sentimento di gioia oppure di collera; le cose cambiavano radicalmente quando l’immagine era ingrandita e veniva mostrato anche il resto del corpo: qui scompariva ogni ambiguità e le due emozioni venivano riconosciute con precisione.
In un secondo step l’esperimento é stato rifatto utilizzando foto di altre circostanze, ma analoghe in quanto ad intensità e a modalità di presentazione (cioé prima il solo volto e poi il corpo intero): l’esito é stato lo stesso.
Un’ultimo passaggio (utilizzato come “prova del nove”) ha previsto la richiesta ai volontari di mimare l’atteggiamento dei tennisti: in questo caso, le foto erano state “contraffatte”; le teste dei vincitori si trovavano sui corpi dei perdenti e viceversa: inaspettatamente, i partecipanti imitavano l’atteggiamento del corpo e non quello del volto!
Per gli studiosi, il fatto che la mimica della faccia passi in secondo piano nel caso di emozioni intense può essere inteso in due modi: per un verso, in questi casi il sistema di regolazione della mimica facciale potrebbe subire un tracollo e non essere adatta quindi a trasmettere messaggi così forti; dall’altro, qui l’espressione del volto potrebbe in realtà essere il prodotto di una miscela di emozioni, dovute proprio all’intensità dell’esperienza emotiva e, proprio per questo motivo, difficilmente interpretabile.
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Questo, commentano i tre ricercatori, pone l’attenzione sul fatto che l’analisi dell’espressione emotiva nella vita vera non può essere limitata all’esame delle trasformazioni del volto: deve trattarsi di un processo “olistico”, cioé che prenda in considerazione volto, corpo e contesto; questo principio vale tanto più quanto i messaggi di corpo e faccia sono incoerenti, come quando qualcuno cerca di nascondere cosa prova o non é consapevole di vivere una certa emozione.
Insomma, nella tradizionale diatriba tra esame del linguaggio del corpo e analisi del volto si apre una terza via: lo studio dell’espressione globale!