Ora una nuova ricerca condotta dai neuroscienziati Loretxu Bergouignana, Lars Nybergb, e Henrik Ehrssona del Karolinska Institutet di Stoccolma ha messo in evidenza come perfino per il consolidamento dei ricordi sia necessario il contributo della percezione del nostro corpo.
Questi studiosi sono partiti da precedenti indagini che hanno rivelato un legame tra la cosiddetta “memoria episodica” (il ricordo degli eventi), la percezione del corpo e l’ippocampo, la sede cerebrale delle “rimembranze”.
Le indagini citate hanno preso spunto dalla constatazione dell’esperienza di pazienti psichiatrici o emotivi che soffrono di sintomi dissociativi: questi ultimi fanno delle azioni che sentono di non governare; ne sono esempi gli isterici che hanno crisi simil epilettiche o chi soffre di bulimia, che non riesca a controllare l’impulso a strafogarsi di cibo.
La dissociazione é ancora più evidente in chi soffre di sindromi “borderline” (ai limiti del disturbo mentale), per gli schizofrenici e per chi ha subito forti traumi o drammi, come i sopravvissuti ad attentati; chi ha subito gravi incidenti o donne che oggetto di violenze sessuali: in quest’ultimo caso, gli individui tendono a sviluppare una “nevrosi” nota come PTSD (disturbo da stress post traumatico); questa sindrome viene accompagnata spesso dalla sensazione che l’accaduto sia capitato a qualcun altro; inoltre, é caratterizzata da una marcata amnesia per i dettagli dell’evento.
Queste osservazioni cliniche hanno suggerito che vivere un’esperienza “fuori dal corpo” condizioni la successiva capacità di rievocare gli episodi vissuti.
Partendo da questa ipotesi, i ricercatori hanno messo a punto quattro diversi disegni sperimentali e hanno coinvolto 84 studenti universitari.
I partecipanti svolgevano degli esami fasulli e il docente era in realtà un attore che appaririva particolarmente stravagante, così che l’esperienza fosse letteralmente “memorabile”. In due delle quattro fittizie sessioni d’esame, il professore si trovava fisicamente davanti a loro; in altre due, i volontari interagivano con il docente e con l’ambiente tramite un casco che li immergeva in una realtà virtuale; in queste due ultime prove, i soggetti ricevevano stimoli che li portavano a distorcere la loro percezione corporea.
A distanza di una settimana, ai partecipanti é stato chiesto di rievocare l’esperienza dell’esame, specificando la successione degli eventi e le sensazioni che avevano provato. Mentre erano impegnati in questo compito, veniva registrata l’attività del loro cervello con la fMRI (risonanza magnetica funzionale).
Il confronto tra esito del test (quanto fossero in grado di ricordare) e la visualizzazione del cervello, ha messo in luce che chi aveva vissuto l’esperienza “extracorporea” aveva una memoria dell’esame molto più lacunosa rispetto a chi interagiva realmente.
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Inoltre, la risonanza ha dimostrato che chi aveva vissuto l’esperienza in una realtà virtuale, l’ippocampo si “spegneva”, per contro, veniva rilevata un’intensificazione dell’attività nel lobo frontale; dimostrando così che i volontari si concentravano davvero per recuperare i ricordi.
in conclusione, i ricercatori ne hanno dedotto che il ricordo “pieno” di un evento é sostenuto da un’impalcatura fatta dagli stimoli che provengono dai sensi: probabilmente, é per questo che quando siamo ubriachi o semplicemente sogniamo la nostra memoria è molto labile e parziale.