Quando siamo emozionati, in ansia o spaventati il nostro cuore comincia a fare le bizze; così possiamo provare extrasistole (aritmie), tachicardia o semplicemente diventare consapevoli delle pulsazioni: queste percezioni di per sé ci allarmano e ci rendono ancora più agitati e inquieti.
Ma per indurci un senso di paura basta molto meno: è sufficiente che uno stimolo venga “a cadere” nello stesso istante di un battito cardiaco. Lo hanno dimostrato gli scienziati inglesi Sarah Garfinkel e Hugo Critchley, assieme ad altri colleghi.
Questa scoperta ha un’importante implicazione: il cuore riesce a sentire quando c’é da avere fifa, prima ancora che il sistema nervoso centrale lo registri e che noi ne diventiamo consapevoli.
Questi studiosi hanno relizzato, infatti, che il modo in cui il cervello reagisce agli stimoli minacciosi dipende proprio dalla coincidenza tra percezione dello stimolo e battito cardiaco: se questo accade si attiva uno stato di allerta che ci rende coscienti dell’evento e ne determina l’impatto emotivo.
I risultati della loro ricerca, pubblicati sulla rivista Journal of Neuroscience fanno intendere che la consapevolezza della potenziale pericolosità di uno stimolo viene stabilita e potenziate se viene colto in corripondenza al momento in cui il cuore fa un battito (sistole), mentre questo non accade se lo avvertiamo nell’intervallo tra un battito e l’altro (diastole).
Per giungere a queste conclusioni hanno reclutato 23 partecipanti, ai quali per prima cosa é stato somministrato un test per la valutazione dell’ansia. Successivamente, a tutti sono state mostrati dei volti con diverse espressioni facciali (felicità, disgusto, paura e volti neutri).
Mentre, i volontari osservavano “sfilare” i volti comparire sullo schermo, veniva registrato il loro battito cardiaco; al contempo l’attività del loro cervello veniva monitorata con la fMRI (Risonanza Magnetica funzionale).
Gli stimoli venivano presentati per un tempo molto breve (100 millisecondi) in modo da sincronizzare la presentazione dei volti con due fasi del battito cardiaco: il momento finale della sistole o della diastole.
Dopo ogni presentazione, il soggetto doveva indicare l’intensità emotiva dello stimolo sulla base di una scala da 0 a 50.
L’analisi dei dati ha dato prova che esclusivamente le facce improntate alla paura suscivano un “soprassalto” nei partecipanti nel momento in cui queste venivano presentate simultaneamente ai battiti cardiaci. Per contro, se lo stesso stimolo veniva mostrato durante la diastole si assisteva ad un’inibizione dello spavento.
L’fMRI ha poi dato modo di dimostrare che le valutazioni individuali coincidevano con una reazione di allarme dell’amigdala (la sede cerebrale dove vengono elaborate le emozioni e l’istinto di sopravvivenza); anche in questo caso, lo stato di attivazione di queste struttura era legato al momento in cui i due eventi coincidevano.
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Gli esiti dimostrano, in definitiva, l’esistenza di una comunicazione cuore-cervello nell’esperienza della paura e più precisamente che il cuore é in grado di percepire (non a caso, con i suoi 40.000 neuroni é considerato il terzo cervello) e “suggerire” al cervello quando c’é da avere paura.
Questo processo risultava però sfasato in chi era ansioso: questi ultimi reagivano ai volti con l’espressione di paura anche se veniva vista al momento della diastole. Questo fa intuire che chi vive questo disturbo tende a percepire un costante stato di minaccia indipendentemente dalla reale pericolosità delle situazioni o degli stimoli. Per altro, propri gli ansiosi soffrono di tachicardia e altre alterazioni del ritmo cardiaco.