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Il dejà-vu nel cervello

Numerosi sono i luoghi comuni sull’ipnosi: dall’idea di perdere conoscenza o dimenticare quanto accade in quella circostanza, alla convinzione di poter essere indotti a compiere azioni contro la proprio volontà, ecc.

Per lo più si tratta di pregiudizi, ma c’è una convizione che coincide con l’effettiva esperienza della trance: quella di perdere il senso del tempo trascorso in ipnosi: per qualcuno un’ora in questa condizione é vissuta come se fossero passati cinque minuti; per contro, per altri, qualche minuto può essere percepito come un intervallo lunghissmo.

L’ipnosi non é, tuttavia, l’unica esperienza in cui distorciamo il passare del tempo. In effetti, l’attitudine ad espandere o contrarre il modo in cui viviamo il senso del tempo é comune a molte situazioni ed é un’atteggiamento che acquisiamo molto precocemente: il bambino, con la prospettiva di “prolungare” i momenti belli e “accorciare” quelli brutti, impara ben presto cercare di gestire questo aspetto.

Purtroppo, il più delle volte, queste strategie si rivelano inefficaci e possonono portare ad ottenere l’effetto contrario.

Secondo Stephen Wolinsky, ipnoterapeuta, questo tentativo di controllo comporta l’adozione di tattiche psicologiche inappropriate (guardare il movimento delle lancette dell’orologio o contare i minuti) e reazioni corporee inadeguate (come contrarre la muscolatura, tamburellare nervosamente con le dita – infastidendoci del nostro stesso picchittare o alternare il baricentro del corpo, passandolo da una gamba all’altra – movimento che scandisce in modo ancora più netto il senso del passare dei minuti). La conseguenza di questi “scacciapensieri”, puntualizza Wolinsky e di attivare l’organismo e concentrare il pensiero su tempo che passa, dandoci l’impressione che scorra più lento.

Una delle distorsioni più sconcertarti e incredibili del senso del tempo, però non accade nell’ipnosi o nella vita quotidiana ordinaria, ma in circostanze particolari e comporta la sensazione di rivivere nuovamente un episodio già successo: il suo nome é dèja-vu.

Per spiegare questo fenomeno sono state formulate numerose teorie: psicologiche, neurologiche e metafisiche…nessuna di queste é riuscita però a fornire un’interpretazine plausibile del perché e di come si sviluppa.

Ora, un’equipe di scienziati tutti italiani. Angelo Labate, Antonio Cerasa, Laura Mumolia e altri colleghi hanno indagato a fondo su questo strano avvenimento grazie alle moderne strumentazioni che consentono di “fotografare” in dettaglio il cervello, giungendo a delle interessanti conclusioni.

E’ da tempo noto che il dejà-vu é un’esperienza molto comune in chi soffre di epilessia del lobo temporale mesiale (MTLE); per altro, le statistiche mostrano che quasi l’80% degli individui sani ha provato, una volta o l’altra nella vita, questo stravagante evento.

Partendo da questo presupposto, Labate e gli altri ricercatori hanno ipotizzato che, proprio a causa di questa coincidenza, esista la possibilità che il dejà-vu possa essere causato da un modesto e transitorio ictus (un’interruzione dell’irrorazione sanguigna in particoli punti del cervello) anche in soggetti “normali”, che produrrebbe una sfasatura tra memoria e percezione sensoriale.

Per verificare la loro supposizione, questi studiosi hanno reclutato 63 volontari che accusavano un disturbo epilettico e 39 invidui in salute che riferivano di aver sperimentato l’evento.

Tutti i partecipanti hanno compilato un test per verificare che avesserò realmente vissuto questo tipo di episodio; quindi sono stati sondati con l’elettroencefalogramma da svegli e durante il sonno; inoltre, il loro cervello é stato “scansionato con la FMRi (risonanza magnetica funzionale) e con la voxel-based cerebrale (VBM), una strumentazione, quest’ultima, in grado di identificare con precisione anche le più sottili alterazioni della morfologia del cervello.

L’esito ha messo in luce che i processi che producono il dèja vu negli epilettici e nelle persone sane sono diversi; tuttavia, anche questi ultimi mostravano una conformazione anatomica in una regione del cervello fuori dal comune; nei primi le “radiografie” evidenziavano una struttura insolita nell’ippocampo di sinistra (Una struttura essenziale nel consolidamento dei ricordi), nel giro paraippocampale (che ricopre un ruolo importante nella formazione della memoria spaziale) e nella corteccia visiva (che elabora immagini e rappresentazioni figurate).

Chi era normale aveva anch’esso però una strana “deformazione”: un aspetto anomalo nella corteccia insulare di sinistra (che, tra le altre funzioni, porta alla consapevolezza il rapporto tra sensazioni viscerali ed emozioni)

In sostanza, in chi vive questa esperienza, ciò che da l’impressione di aver già vissuto una data situazione é dovuta al fatto che due episodi distinti sono confusi perché condividono sensazioni molto simili; queste ultime, giunte alla coscienza, porterebbero il soggetto a rielaborare inconsapevolmente la propria esperienza attuale per farla sovrapporre a quella passata.

Per altro, in un precedente studio dei neurologi Cechi Michal Mikl, Ivan Rektor e Adam Zeman, confrontando soggetti sani che avevano sperimentato il dejà-vu con altri che non avevano mai vissuto questa esperienza, ha evenziato un’altra differenza anatomica: i primi, infatti, mostravano un volume ridotto di materia grigia nelle regioni dell’ippocampo del giro ippocampale; nonché, nell’insula (curiosamente, la stessa struttura identificata da Labate e colleghi).

Per approfondire
I Segreti dell'intelligenza corporea

Risolto l’arcano quindi? Niente affatto! Certo, le osservazioni degli
studiosi Cechi e italiani hanno dato una spiegazione per alcuni episodi di dejà-vu, ma gli annali della medicina riportano almeno due casi in cui i soggetti, prima di recarsi in un certo luogo, sostenevano di esserci già stati: é stato accertato che entrambi non avevano mai messo piede in quegli ambienti; eppure erano stati in grado di descrivere in dettaglio mobilio, oggetti e colori!

Magari anche loro avevano delle anomalie nel cervello, ma in questo caso, li portava a possedere delle percezioni scientificamente inspiegabili.

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