La variazione più visibile e, di cui spesso siamo soggettivamente più consapevoli, riguarda la temperatura cutanea o del corpo: ad esempio, nella vergogna o nell’imbarazzo, un improvviso afflusso di sangue imporpora il viso e ci fa avvampare; se ci sentiamo inibiti o agitati le nostre mani possono raffreddarsi e i palmi coprirsi di sudore.
L’eccitazione sessuale può scaldare l’addome, il petto e la faccia; la rabbia, per contro, può arrossare il volto e “infiammarlo” o, se siamo pronti ad esplodere, farlo impallidire e raffreddarlo (perfino le labbra si fanno più esangui e si assottigliano).
Sin da bambini prendiamo confidenza con queste alterazioni termiche: alcuni studi, hanno messo in luce che quando il bambino patisce dello stress a causa della separazione dalla mamma, la sua fronte si scalda; lo stesso effetto, in genere accompanato da un senso di pressione e da pulsazioni ritmiche, lo avvertiamo da adulti quando siamo preoccupati o quando ci “spremiamo le meningi” nel tentativo di risolvere un problema.
E’ verosimilmente a partire dal collegamento tra emozioni e variazioni di temperatura che abbiamo sviluppato numerose metafore termiche per illustrare in modo figurato certi stati d’animo: diciamo, ad esempio, che qualcosa “non ci fa né caldo né freddo“, quando ci é indifferente o se siamo preda alla collera, parliamo di “ribollire dentro” o, ancora, possiamo avvertire “brividi” di paura analoghi a quelli di un febbrone.
Estendiamo questo tipo di allegorie anche a un dato temperamento o comportamento: possiamo, così, parlare di persone calorose (nel senso di espansive) o fredde (intendendo qualcuno che é solitario, schivo e poco espressivo); di individui “scalmanati” o di donne “frigide”, ecc.
Inoltre, possiamo usare la sineddoche (una figura retorica per cui la parte vale per il tutto) e parlare di un organo o una regione del corpo come simbolo dell’individuo o della sua personalità: definiamo, allora, uno sguardo glaciale, un cuore freddo, una testa calda, e via dicendo.
Una delle metafore più usata per esprimere l’esperienza della solitidine é sentire “freddo nel cuore“.
Così, a partire dalle considerazioni sopra e dalle serie di ricerche che hanno messo in luce i concetti dell’intelligenza corporea o cognizione incarnata (che illustra come le sensazioni corporee possano influenzare il pensiero), gli psicologi Chen-Bo Zhong e Geoffrey Leonardelli, ricercatori alla Rotman School of Management di Toronto, hanno supposto che il modo di dire esprimesse realmente un calo della temperatura corporea e che fosse possibile dimostrarlo sperimentalmente.
Per accertarlo, hanno reclutato un gruppo di 65 volontari, diviso in due sezioni: ai primi é stato suggerito di tornare con la memoria ad una situazione in cui erano stati esclusi da una compagnia (in modo da evocare il sentimento di solitudine); agli altri, é stato detto di ripensare al momento in cui erano stati accolti in un club o in una squadra (per far loro rivivere l’entusiasmo dell’essere benvoluti).
A quel punto, gli studiosi hanno chiesto ai partecipanti di stimare la temperatura del laboratorio, con la scusa che il personale addetto alla manutenzione dell’edificio aveva bisogno di quell’informazione.
La valutazione si era rivelata sorprendentemente variabile e soggettiva: da 12° a 40 gradi (della scala celsius); un’escursione che ha dell’incredibile, ma che ha trovato spiegazione nel confronto tra stima del calore ambientale e esperienza a cui si era pensato: in chi aveva rivissuto una situazione in cui era stato scartato o si era sentito emarginato la temperatura corporea si era abbassata e lo portava a sentire più freddo!
In un secondo esperimento, invece di invitare i volontari a ripensare a delle situazioni di emarginazione o di accettazione, i riceratori avevano ricreato questa condizione con un gioco interattivo al computer. Nel videogame il giocatore riteneva di essere connesso con altri utenti: il compito era lanciarsi reciprocamente una palla. Il gioco, in realtà, era truccato; per cui, alcuni ricevavano quasi sempre la palla indietro e altri mai (condizione di “esclusione sociale”).
Successivamente, i partecipanti dovevano compilare un questionario di marketing, apparentemente indipendente dal gioco al PC: in pratica, dovevano esprimere le proprie preferenze per alcuni cibi o bevande (caffè caldo, cracker, Coca Cola ghiacciata, una mela e zuppa calda).
Anche qui l’esito ha dato risultati in linea con quanto emerso nel primo studio: gli individui che erano stati “snobbati” prediligevano minestra o caffè caldo; esprimendo indirettamente il desiderio di qualcosa che li scaldasse.
Un’indagine recente di Zhansheng Chen, assieme a Kai-Tak Poon e Nathan DeWall, che ha replicato questo esperimento ha dimostrato che la sensazione di freddo é vissuta in maniera più accentuata in chi, nella propria realtà quotidiana, manca del sostegno familiare o del partner.
“Può apparire assurdo“, commenta Leonardelli, “ma, tenuto conto dei dati emersi, non sorprende che uno scaldasonno o un bagno bollente possano dare un sollievo (seppure, temporaneo) a chi si sente solo. Inoltre, questo studio suggerisce che riscaldare una stanza o un ambiente di lavoro possa rivelarsi un metodo semplice e pratico per promuovere l’interazione e la cooperazione di team di lavoro o di un’equipe“.
Per approfondire |
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Queste scoperte, per altro, aprono nuovi orizzonti nell’esame delle interazioni tra ambiente e psicologia.
Le indagini sulla SAD (Seasonal Affective Disorder – disturbo affettivo stagionale), ad esempio, si sono concentrate sul presupposto che la riduzione di luce solare durante i mesi invernali sia la causa primaria dell’insorgere di sentimenti depressivi , ma questo nuovo studio, mette in risalto che a questi sbalzi dell’umore possa contribuire anche l’abbassamento delle temperature e che questa “glaciazione” renda più acuta la sofferenza di chi vive o si trova in condizioni di solitudine, di isolamento o di emarginazione.