In una conversazione o un discorso non ci limitiamo ad esprimerci a parole: intonazione, pause, posture, ma soprattutto gesti costituiscono una parte fondamentale di quello che intendiamo comunicare.
Le diverse culture stabiscono norme e consuetuini diverse sull’impiego dei movimenti di mani e braccia e sul tipo di gesti più usati.
Gli italiani, ad esempio, usano molti gesti detti emblematici, come l’atto di fare le corna, o di passare un dito orizzontalmente sulla gola che trasmettono un significato ben preciso e che sostituiscono in parte le parole.
Gli americani, per contro, usano numerosi segnali illustrativi (che servono a descrivere, ampliare o puntualizzare quanto si sta dicendo) e hanno una mimica facciale a che a noi appare quasi macchiettistica.
Un popolo asiatico, come i giapponesi ad esempio, non fa né una cosa né l’altra: gli individui del sol levante sono piuttosto compiti, inespressivi e gesticolano in modo particolarmente compassato.
In generale, comunque, i gesti rendono il discorso più colorito, nutrito e toccante e danno un ché di più al parlante, che appare più accattivante: alcune ricerche hanno riscontrato che le persone che “parlano” con le mani tendono ad essere percepite come calde, piacevole ed energiche, mentre coloro che sono meno animati sono visti come logici, freddi e analitici.
L’impatto comunicativo dei gesti é stato dimostrato statisticamente con un’analisi delle conferenze tenute lo scorso anno presso la TED (Technology Entertainment Design), un convegno che si svolge una volta all’anno a Vancouver in Canada e che si propone di divulgare le idee più originali nel campo della scienza, dell’arte della politica, della musica, ecc. Le presentazioni più innovative sono poi postate sul sito web della TED.
Esaminando, quindi le relazioni più gettonate sul sito, si é appurato che nei filmati più gettonati, i relatori utilizzavano (in 18 minuti, il tempo concesso ad ogni conferenziere) una media di 465 movimenti con le mani: quasi il doppio dei video dei relatori meno “virulenti”.
Gesticolare mentre si parla riesce a trasmettere in modo più chiaro e concreto ciò che abbiamo in mente, ma aiuta anche noi stessi a pensare in modo più sciolto, con maggior proprietà di linguaggio e consente un accesso più facile alle memorie.
Una regione del cervello, nota come area di Broca é, almeno parzialmente responsabile, di questo effetto: é in funzione quando elaboriamo il linguaggio, ma é attiva anche quando smanacciamo.
Si tratta di una connessione che acquisiamo già in tenerà età. Secondo uno studio pubblicato su Journal of Child Language quanto più il bambino tende a muovere le mani mentre interagisce nei primi anni di vita, maggiore sarà la sua capacità di sviluppare un vocabolario sofisticato, delle frasi più complesse e una narrazione più coerente nella tarda infanzia.
Per veriricarlo, i ricercatori hanno per prima cosa, analizzato il comportamento gestuale di pargoli di 5 anni; successivamente hanno chiesto agli stessi bambini, all’età di 6 anni di raccontare quanto stava accadendo in un cartone animato. Hanno, quindi, domandato sempre a loro ripetere l’operazione quando ne avevano sette, e di nuovo quando raggiungevano gli 8.
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L’esito ha dimostrato che i piccoli che a cinque anni gesticolavano di più,
a mano a mano che crescevano, mostravano un linguaggio più raffinato e una struttura del discorso più logica e sequenziale.
Altre indagini hanno dato prova che le gesticolazione sono come una “seconda lingua”; i movimenti delle mani possono, infatti, trasmettere informazioni che possono essere assenti nel nostro discorso: per esempio, tenere la mano sollevato la mano mentre si parla di un certo argomento potrebbe segnalare che va data particolare attenzione a quello che stiamo dicendo oppure scuotere la testa, quando illustriamo
un fatto può indicare che troviamo disdicevole quanto é successo.