Proprio questo procedimento, putroppo, ha creato uno delle più diffuse e immotivate credenze sull’ipnosi: che gli ipnotisti, attraverso lo sguardo possano emanare un qualche potere che li metterebbe in condizione di acquisire il controllo della persona.
Per quanto questo non sia che un pregiudizio, molti avvertono un senso di soggezione e timore di fronte ad un ipnotista e tendono a distogliere lo sguardo quando incrociano il suo.
L’idea che la fissazione possa provocare la trance è stata descritta per la prima volta da James Braid, uno degli antesignani dell’ipnosi moderna.
Questo studioso (un oculista) suggeriva in Neuroypnology (pubblicato nel 1843), di prendere un oggetto qualsiasi e, tenendolo sopra la fronte del soggetto (ad una distanza dai 20 ai 40 cm circa) e di invitare quest’ultimo a fissarlo.
In questo modo, spiegava lo scienziato, si ottiene il massimo sforzo per coniugazione dei muscoli oculari. Dopo un po’ le pupille si contrattranno, per poi dilatarsi, le palpebre cominceranno a vibrare e si chiuderanno strettamente. A quel punto, in un primo momento il corpo apparirà più rigido per poi perdere del tutto il tono.
Dalla fissazione di un oggetto, poi si é passati all’idea di incrociare direttamente gli occhi del soggetto. Benché sia una tecnica sopravvalutata, é effettivamente possibile ipnotizzare qualcuno con lo sguardo. Il suo effetto si dice, sia dovuto, oltre all’affaticamento dei muscoli dell’occhio, all’innesco di una dei meccanismi più atavici: la reazione alla paura.
Un recente studio fornisce, però, una diversa spiegazione del perché questo metodo possa funzionare da innesco della trance. L’esperimento che ha studiato il fenomeno é stato condotto da Giovanni Caputo, ricercatore dell’Università di Urbino.
Per la sua indagine, lo psicologo, ha coinvolto con 20 giovani adulti (di cui 15 erano donne) cui é stato chiesto di sedersi a due a due l’uno di fronte all’altro, alla distanza di un metro, e di guardare il partner negli occhi per 10 minuti.
L’illuminazione della camera era sufficiente per consentire di distinguere i tratti somatici dell’altro, ma non abbastanza per cogliere i colori (quindi tutto appariva pressoché monocromatico).
Ad un gruppo di controllo di altri 20 volontari è stato chiesto di sedersi di fianco ad un’altro partecipante, ma questa volta il compito era fissare una parete bianca. Tutti i soggetti erano all’oscuro del vero scopo dell’esperimento; sapevano solo che vagamente aveva a che fare con una sorta di meditazione ad occhi aperti.
Scaduto il tempo, ai volontari sono stati somministrati due questionari. Il primo aveva l’obiettivo di mettere in luce l’eventuale sviluppo di esperienze dissociative (come la sensazione di distacco dal corpo o un senso di irrealtà); Il secondo, invece, serviva ad indagare se c’erano state alterazioni della percezione del volto dell’altro.
I risultati hanno messo in evidenza che chi aveva incrociato lo sguardo del partner nella penombra, dichiarava di aver vissuto un’esperienza estremamente coinvolgente, emozionante e uno svuotamento dai pensieri.
Il risultato più eclatante l’ha dato, però, l’analisi del questionario sulle esperienze dissociative. I volontari dichiaravano di aver visto i colori farsi ancora più sfumati; di aver avvertito un senso di silenzio o i rumori amplificati. Inoltre. Avevano perso coscienza del trascorrere del tempo.
Dal questionario sulla percezione dell’altro é risultato che il 90 per cento avevano visto alcuni tratti deformatsi; il 75% ha detto di aver visto una fisionomia mostruosa; il 50% ha rivelato di aver colto degli aspetti del proprio volto nella faccia a del partner, e il 15% ha detto di aver visto il viso di un parente sovrapporsi al volto dell’altro.
Il motivo delle allucizioni sarebbe imputabile alle modificazioni del comportamento e della fisiologia oculare: quando guardiamo fissamente qualcosa, l’occhio comincia a lacrimare, tremare e, sopratutto, a produrre dei movimenti qusi impercettibili detti micro-saccadi.
I microsaccadi consentono di mantenere la visione durante la fissazione spostando l’immagine immobile sulla retina; in questo modo é possibile ovviare all’adattamento che portebbe alla scomparsa dell’oggetto o del punto osservato. Proprio la presenza di queste piccole oscillazioni é responsabile dell’illusione che la cosa che fissiamo si stia muovendo.
In conclusione, riportando questa funzione all’esperimento di Caputo, possiamo dire che é verosimilmente l’ondulazione percepita (assieme al velo delle lacrime) la causa delle deformazioni del volto ed evocherebbe un senso di paura (la visione del “mostro”) o memorie di volti familiari per dare un senso a ciò che si sta vedendo.
Inevitabilmente, queste sovrapposizioni determinano un’alterazione del senso di realtà e cioè la trance e, per un effetto cascata, anche le altre modificazioni sensoriali.