
Chi si somiglia si piglia
La letteratura scientifica e i sondaggi dimostrano in modo sempre più chiaro che siamo colpiti da qualcuno che ci assomigli.
Questo vale soprattutto per aspetti come atteggiamenti, preferenze, principi e lati del carattere, ma anche condividere la città di provenienza o la professione possono essere fattori di attrazione.
Questo trend vale anche per gli abitanti del BelPaese: un sondaggio dell’Istat condotto nel 2008 su circa 49mila italiani ha messo in luce, infatti, che nel 61% delle coppie interpellate i partner avevano lo stesso livello di istruzione e la loro conoscenza risaliva ai tempi degli studi.
In una ricerca sulle affinità, gli psicologi americani Eva Klohnen e Shanhong Luo hano somministrato una serie di test di personalità e delle attitudini a 291 coppie di neo sposini, sposati da circa 150 giorni e che, in media, si conoscevano da 4 anni e mezzo.
Scopo dello studio era verificare quanto contassero le somiglianze dei coniugi nella soddisfazione di coppia e nella solidità del matrimonio.
Bene, l’esito ha dato prova che i partner che più affiatati, sin dall’inizio avevano idee comuni su orientamento politico, religioso e sui valori in generale.
Una rilevazione in linea con una sorta di “formula della felicità di coppia” elaborata dallo studioso inglese Glenn Wilson e dalla sua equipe.
Questo psicologo e il suo staff hanno esaminato per anni i tratti psicologici e caratteriali di un campione di oltre 2000 individui in coppia, selezionando poi un insieme di aspetti che sembravano presagire la stabilità del legame, come l’attrazione fisica, la personalità, l’istruzione, i film e i programmi televisi seguiti, lo sport, gli hobby, la volontà di avere un figlio, ecc.
Mettendo a confronto le coppie che condividevano buona parte dei gusti, delle inclinazioni e delle caratteristiche con altre, prese come paragone, é emerso che le unioni più salde erano quello contraddistinte da un alto “quoziente di compatibilità”; in altre parole, quelle che si somigliavano di più.
Se l’essere sulla stessa lunghezza d’onda dell’altro é importante, per una buona coesione di coppia contano anche fattori più concreti; come, ad esempio, il fatto di essere ugualmente attraenti sul piano fisico.
Nuove indagini mostrano che, almeno nel momento della scelta del partner, conta non solo che i due si trovino (e vengano giudicati) alla pari quanto a bellezza, ma addirituttura che si assomiglino fisicamente.
A provarlo sono stati gli psicologi Cris FraleY e Marie Heffernan, ricercatori presso l’Università dell’Illinois: in sostanza, i suoi esperimenti hanno rilevato che uno dei criteri per cui qualcuno ci piace é di tipo narcisistico e, forse, perfino velatamente incestuoso.
Il disegno sperimentale dei due studiosi si é sviluppato in tre passaggi. Nella prima indagine, ai volontari sono state mostrate immagini di volti di sconosciuti. Successivamente é stato chiesto loro di valutare quanto li trovassero attraenti.
Quello di cui i soggetti erano inconsapevoli era che, un attimo prima di visionare i ritratti, veniva proiettata un immagine di un’altra faccia per una frazione di secondo (che passava del tutto inosservata). la slide presentata in questo modo era il volto di un familiare di sesso opposto oppure di un estraneo.
L’esito ha dato prova che chi era stato “suggestionato” con la foto del familiare, trovava più avvenente il ritratto della persona che veniva mostrato subito dopo.
Un secondo esperimento prevedeva la visione di una faccia che in realtà era la mescolanza di due volti, sapientemente fusi con un programma di morphing. Una di queste facce era quella dello stesso partecipante, che contribuiva a dare l’aspetto finale in misura diversa: da un cenno fino al 45%.
Ai volontari é stato chiesto quindi quanto trovassero sessualmente attraenti i volti proiettati. Ne é emerso che maggiore era la percentuale di sé stessi nella faccia da valutare, più veniva trovata sexy.
Nell’esperimento finale ai volontari sono state mostrate nuovamente le immagini miscelate; rispetto allo studio precedente, però, metà di loro era stata avvertita che il volto era un mix di se stessi e di uno sconosciuto; l’altra metà ne era invece inconsapevole.
Qui é emerso che chi era a conoscenza del trucco provava una certa repulsione per qui ritratti; mentre chi era stato lasciato all’oscuro dello stratagemma continuava a reputare più eccitanti i ritratti che contenevano elementi delle loro fattezze.
Questo, secondo gli autori, disconferebbe la tesi di Freud secondo cui saremmo biologicamente disgustati da persone che potrebbero essere nostri consanguinei: anzi, vale esattamente l’opposto; questi ultimi ci attraggono addirituttura di più.
Ad avvalorare gli esiti di questa indagine troviamo un’altro studio condotto dagli psicologi inglesi David Perrett, Ian Penton-Voak, Anthony Little e da altri studiosi.
Questi ricercatori si sono concentrati su un’altro aspetto che può indurre gli individui a cercare un partner che ricordi il genitore: l’anzianità (che naturalmente segna visibilmente il volto, con l’accentuazione di pieghe, borse e rughe, tono muscolare e grasso sottocutaneo).
Per il loro studio Perrett e collaboratori hanno elaborato dei volti con dei programmi di grafica per il computer così da realizzare delle faccie dalle fattezze medie e poi le hanno invecchiate o ringiovanite.
A quel punto, hanno selezionato un gruppo misto di soggetti cui erano stati preventivamente domandati i dati anagrafici propri e dei genitori e a cui sono stati mostrati i ritratti modificati. Successivamente, hanno chiesto loro di giudicare quanto trovassero attraenti i volti che avevano visto.
L’analisi dei risultati ha portato alla scoperta che le donne nate da genitori “vecchi” (di più di 30 anni) erano maggiormente attratte da
faccie segnate rispetto a quelle più giovanili.
Per approfondire |
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Un effetto analogo é stato riscontrato anche per i maschi, con la differenza che per questi ultimi, l’influenza dell’età contava solo se la madre era meno “arzilla” alla loro nascita e non quella del padre;
inoltre, questo valeva solo per le storie serie.
In questo caso, il grande vecchio della psicologia sembra averci visto giusto: Freud, infatti, affermava che il primo “oggetto” di investitura affettiva per i maschi resta lo stesso sin dalla nascita: mentre le femmine, all’età di 5 anni circa spostano le proprie attenzioni dalla madre al padre: un processo che sphiegherebbe in modo plausibile la diversa reazione di uomini e donne in quest’ultimo esperimento.