
Il respiro “soffoca” l’ansia
La respirazione è uno dei processi fondamentali del nostro organismo: la sua funzione primaria é lo scambio gassoso tra ossigeno e anidride carbonica, che avviene nei polmoni.
Al contrario di quanto si crede, questi organi non si dilatano né si contraggono: il loro movimento é passivo; indotto da una specie di stantuffo, il muscolo diaframmatico che si trova al di sotto della cassa toracica.
La cadenza delle due fasi, analogamente a quello del cuore o della digestione é automatica, ma a differenza di questi, è l’unico che possiamo modificare in modo intenzionale, proprio grazie al fatto che é prodotto dall’apparato muscolare (in prima battuta dal diaframma, ma anche dai muscoli pettorali e dell’addome) che é sotto il controllo della volontà: ad esempio, possiamo restare per un po’ in apnea, sbadigliare, sospirare o iperventilare, come fanno le popolazioni primitive per indursi la trance.
Pratiche come il respiro pranico (il Pranayama – un metodo Yoga – insegna a rilassare l’intero corpo per migliorare la respirazione) o la tecnica Buteyko (ideata in Russia) suggeriscono che cambiando il modo di respirare possiamo fare molto di più, come acquisire una maggiore rilassatezza e un autocontrollo delle emozioni e delle afflizioni dell’apparato respiratorio.
Una ricerca condotta dai medici indiani Venkatesan Prem, Ramesh Chandra Sahoo e Prabha Adhikari, al riguardo, ha dimostrato che l’appredimento e l’esercizio di queste due discipline migliora molto la qualità di vita dei pazienti affetti da asma, attenuando i sintomi.
Il perché queste tecniche funzionino é rimasto , tuttavia, misterioso. Più di 25 anni fa, un’equipe di ricercatori dell’Università della California hanno scoperto l’esistenza di un piccolo fascio di circa 3.000 neuroni interconnessi collocati in due strutture alla base del cervello, nel midollo allungato e nel ponte: questo complesso neuronale prende il nome di “pacemaker” del respiro.
Di recente, però, Kevin Yackle, Lindsay Schwarz, Kaiwen Kam hanno pensato di utilizzare nuove procedure di mappatura genetica per esaminare i singoli neuroni di questa “centralina” del respiro nei topi: questa indagine ha dato modo di raggruppare i neuroni in “tipi”.
Alla fine, hanno individuato circa 65 diversi tipi di neuroni nel pacemaker, ciascuno presumibilmente con un compito unico nella regolazione di un certo aspetto della respirazione.
A quel punto, hanno iniettato un virus che selettivamente disattivava uno specifico raggruppamento di neuroni, il pre-Bötzinger complex (preBötC), che svolge un ruolo essenziale nella generazione del ritmo di respirazione.
In un primo momento, sembrava che questo spegnimento non cambiasse nulla: le cavie “prendevano fiato”, sbadigliavano e sospiravano come sempre. Le cose sono cambiate, però, quando i roditori sono stati messi in nuove gabbie: una condizione che, di norma, avrebbe stimolato un’esplorazione nervosa e provocato un respiro affannoso.
In questo caso, invece, topi manipolati si mostravano sorprendentemente tranquilli e mantenevano una frequenza del respiro regolare.
Per comprendere le ragioni di questo effetto i ricercatori hanno successivamente esaminato il tessuto cerebrale dai topi per stabilire se e come i neuroni “spenti” potessero connettersi con altre parti del cervello.
Si è scoperto, così, che questo “drappello” di neuroni proiettano le loro “ramificazioni” verso i neuroni noradrergici (cioè, con una funzione eccitatoria) che hanno sede nel locus coeruleus e ne regolano il funzionamento. Questa regione del cervello é una struttura chiave della reazione allo stress e ha connessioni con il sistema limbico e in particolare con l’amigdala (il cosiddetto “cervello emotivo”).
Proprio grazie a queste “intersezioni” e al fatto i neuroni del locus coeruleus esibiscono iscillazioni ritmiche il cui tempo é sincronizzato con quello della respirazione, i due sistemi si influenzano a vicenda.
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Se da un lato, questo significa che quando sia siamo in ansia abbiamo il “fiato corto”, é anche vero che modificando il modo di respirare anche lo stato di allarme si placa.
In conclusione, é questo il motivo per cui tecniche come il pranayama, il Buteyko o qualsiasi altra pratica che si prefigga l’apprendimento del controllo volontario del diaframma può realmente restituire la calma e la lucidità anche nella situazioni più drammatiche.
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