
Le emozioni modificano il DNA
Nei primi anni di vita, i neuroni cerebrali sono dotati di elevatissimità plasticità, il che significa che il cervello può sviluppare un grande potenziale o, per contro, subire danni a volte irreparabili.
In questo processo, l’ago della bilancia spetta i genitori che, con le loro emozioni e i loro atteggiamenti, possono orientare lo sviluppo in un senso o nell’altro.
La relazione che i genitori stabiliscono con il bambino; la loro capacità di soddisfare le sue esigenze emotive e l’idea che si fa che il piccolo si fa di sé e del mondo che lo circonda in tenera età influenzano il suo sviluppo psichico e lasciano un segno profondo che probabilmente lo accompagnerà per tutta la vita.
Numerosi studi, ad esempio, hanno collegato la depressione materna con l’insorgenza di disturbi mentali nei bambini. È anche stato provato che violenze subite (o a cui si é assistito), l’esposizione ad un clima teso e conflittuale fra i genitori e condizioni di vita precarie e disagiate portano i bambini a crescere insicuri e a incontrare difficoltà a stabilire rapporti sani e maturi in età adulta.
Ora, una nuova indagine condotta dagli psichiatri Marilyn Essex, Thomas Boyce, Clyde Hertzman e altri studiosi ha rivelato che i problemi in cui i figli possono incorrere non sono limitati al piano psicologico: lo stress dei genitori può addiritutta alterare la genetica della prole, facendo sì che nel loro cervello si formino connessioni che compromettono la capacità di fare fronte alle avversità.
L’idea che lo stress possa danneggiare il DNA e lo sviluppo del cervello era già in “embrione” in uno studio condotto in precedenza dai genetisti canadesi Ian Weaver, Nadia Cervoni, Frances Champagne, assieme ad altri colleghi.
Questi ricercatori (lavorando con i topi, però, e non con gli esseri umani) hanno scoperto che quando le madri si occupavano amorevolmente dei figli, si attivava un gene nel loro cervello responsabile di cambiamenti biologici che portavano i giovani ratti a gestire in maniera più efficace lo stress (ad esempio, si adattavano meglio ai cambiamenti ed erano più intraprendenti nell’esplorare l’ambiente in cui venivano posti).
In un’indagine affine, Michael Meaney assieme al suo collega Gustavo Turecki, ricercatori presso il Douglas Mental Health University Institute, hanno dato un’ulteriore prova che l’accudimento amorevole possa influenzare l’attivazione genetica.
Anche qui, i ricercatori hanno preso come cavie dei topi (una specie in cui l’accudimento viene espresso leccando i cuccioli – un equivalente del comportamento umano dell’abbraccio e delle coccole) partendo dall’osservazione che i giovani ratti che venivano leccati di più si mostravano più tranquilli e “spavaldi” dei propri pari che ricevevano meno premure.
Meaney e il suo collega hanno così voluto verificare se il fatto di ricevere maggiori “attenzioni” portasse a modificare l’attività di uno specifico gene (noto come NRC31) che rende i topolini più capaci di far fronte allo stress. Quando si “accende”, questo gene produce una proteina che aiuta a diminuire la concentrazione degli ormoni dello stress nell’organismo.
Per accertarsi che questo particolare gene fosse “manipolabile” dalle cure materne, gli studiosi hanno “monitorato” la sua attività nel cervello, scoprendo che nei roditori che avevano ricevuto poche “lisciate” l’interruttore NRC31 nei neuroni ippocampali (l’immpocampo é coinvolto nella memoria e nell’esperienza emotiva) era difettoso. Con la conseguenza, che anche in assenza di “motivi” di stress, questi ratti vivevano in costante stato d’ansia.
Un’ulteriore studio, sempre condotto all’interno del Douglas Mental Health University Institute (che ha questa volta studiato gli esseri umani) ha rivelato che l’abuso sui bambini e l’abbandono dei genitori possono disattivare i recettori degli ormoni dello stress nel cervello.
È stato rilevato, infatti, che in chi da bambino aveva subito violenza e che in età adulta si era suicidato (o aveva tentato di farlo), il gene che doveva “aizzare” i recettori degli ormoni dello stress era rimasto inattivo.
Il problema è che quando questo gene viene “messo a tacere”, la risposta allo stress del sistema neurale viene “storpiata”: diventa, così, più difficile affrontare i problemi e le difficoltà e chi ha questa condizione e queste ha maggiori probabilità di sviluppare disturbi psichiatrici ed essere incline a togliersi la vita.
Tornando ora alla nuova ricerca (quella di Essex & Co.) é stato messo in evidenza che perché si verifichino dei cambiamenti a livello di DNA non è necessario che i bambini subiscano abusi fisici.
Questi ricercatori hanno analizzato centinaia di genitori per più di un decennio. Padri e madri hanno compilato una serie di questionari in tempi diversi durante la vita dei loro figli: quando erano neonati, a 3 e 4 anni e in età successive, fino alla maggiore età.
Grazie ai questionari, gli studiosi hanno appurato il livello di stress dei genitori. Inoltre, nei “pargoli” che avevano raggiunto l’età di 15 anni (109 adolescenti), gli scienziati hanno analizzato il DNA.
Confrontando quindi i due esiti, i ricercatori hanno riscontrato che i figli di genitori più stressati (e a lungo) mostravano le maggiori alterazioni genetiche.
Un alto livello di stress nelle madri durante i primi anni di vita dei bambini è stato collegato con anomalie in 139 geni. Lo stress dei padri incideva di meno, anche se, sembra, sia connesso alle mutazioni di 31 geni.
Questa differenza probabilmente, é dovuta al fatto che il genitore di sesso maschile é, solitamente, meno presente nella crescita del figlio.
Un’altra scoperta importante suggerisce che lo stress delle madri e dei padri non causa cambiamenti significativi nell’espressione dei geni dopo 3 anni di età. Questo potrebbe legato
al fatto che i primi tre anni di vita sono la fase della massima plasticità del cervello, in cui esperienze positive e negative agiscono in maniera più marcata.
Per approfondire |
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Tra i geni “degenerati” dallo stress ne sono stati rilevati due che sono particolarmente importanti per lo sviluppo del cervello, dal momento sono implicati nella trasmissione cellulare e nella permeabilità dei neuroni. Uno dei geni coinvolti è il Neurog1; importantissimo perchè stimola la crescita
di nuovi neuroni ed è cruciale per lo sviluppo delle abilità sociali, dell’apprendimento e della memoria.
Insomma, non bastano la predisposizione, la familiarità, la “posizione degli astri”: adesso, ci si mettono anche mamma e papà! 😉