
Respirare bene rende più lucidi
La respirazione é, infatti, un processo essenziale per mantenere in vita il nostro organismo …. non é un caso che si dica esalare l’ultimo respiro per indicare la cessazione delle funzioni vitali.
Come avviene per tutti gli organi, anche l’attività cerebrale é influenzata dall’apporto di ossigeno, ma nel sistema nervoso centrale é essenziale che il flusso sia costante: se nel sistema nervoso centrale “manca l’aria” per un tempo che va dai 30 ai 180 secondi si va incontro ad una perdita di coscienza e dopo un minuto, i neuroni iniziano a morire.
Probabilmente, tenendo a mente queste constatazioni, i neurologi Christina Zelano, Heidi Jiang, Jay Gottfried, assieme ad altri colleghi, hanno fatto caso che, nel corso di interventi al cervello (in cui non viene fatta l’anestesia perché lì non ci sono recettori del dolore e perché é importante che il paziente sia presente) un diverso modo di respirare attivava aree cerebrali diverse).
Più precisamente, questi studiosi hanno scoperto questo legame nel corso di operazioni al cervello di pazienti epilettici cui, scoperto il cranio, erano stati impiantati degli elettrodi nel tessuto cerebrale per identificare il punto d’origine della scarica epilettica.
In questo modo hanno potuto rilevare che che c’era una sincronia tra modalità di respiro e attività cerebrale.
In particolare, era stato riscontrato un cambiamento in tre regioni del cervello: la corteccia piriforme (olfattiva), che elabora gli odori; l’ippocampo, che controlla la memoria; e l’amigdala, che è responsabile dell’elaborazione emotiva.
“Uno dei maggiori risultati di questo studio, commenta la ricercatrice Christina Zelano. è che é stata rilevata una drammatica differenza nell’attività cerebrale nell’amigdala e nell’ippocampo durante l’inalazione rispetto all’espirazione“.
Durante l’atto di inspirare, infatti, si é osservato che vengono stimolati i neuroni nella corteccia olfattiva, nell’amigdala e nell’ippocampo, in tutto il sistema limbico; cosa che invece non avveniva nel corso dell’espirazione. Inoltre, questo accadeva quando l’individuo prendeva fiato con il naso e non la bocca.
Prendendo spunto da queste rilevazioni, gli studiosi hanno voluto indagare a fondo sul fenomeno.
Hanno così reclutato 70 volontari sani e di età compresa tra i 18 e i 30 anni e elaborato un disegno sperimentale per verificare se “tirare su con il naso” influenzasse anche l’elaborazione emotiva e del pensiero.
Compito dei soggetti era stabilire, nel più breve tempo possibile, se le immagini di volti mostrati solo per una frazione di secondo esprimessero paura o sorpresa.
Dato che era stato accertato che ispirare con le narici determinava un’attivazione dell’amigdala, i ricercatori si aspettavano che i volti improntati alla paura fossero riconosciuti più velocemente in quel momento. E così é stato.
Niente invece cambiava nell’individuazione delle espressioni di sorpresa; un risultato in linea con le proprietà dell’amigddala; reattiva soprattutto ai segni di minaccia.
Un’esperimento analogo é stato condotto per controllare l’effetto del respiro sulla memoria (che ha sede nell’ippocampo, l’hardware della capaità di ricordare – l’altra struttura che aveva mostrato una reazione nel corso dell’intervento chirurgico).
Qui l’esercizio affidato ai partecipanti (42 in tutto) consisteva nel riconoscere delle immagini viste in precedenza sul monitor di un computer.
Come nel primo studio, anche qui é stato riscontrato che se le figure apparivano mentre i soggetti inalavano con il naso, la loro facoltà di ricordarsene era accresciuta e più pronta.
Alla luce di quanto emerso, il team di studiosi suggerisce che le nostre funzioni cognitive potrebbero essere potenziate dall’inalazione quando ci troviamo in situazioni pericolose – un momento in cui potremmo aver bisogno di reagire alle cose in modo scattante e con “giudizio”; in quei momenti, il nostro respiro accelera spontaneamente.
Per approfondire |
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“Studi precedenti hanno dimostrato che le frequenze respiratorie normali vanno da 12 a 18 respiri al minuto per un adulto; anche se questo ritmo tende ad accelerare fino a circa 20 respiri al minuto se percepiamo una minaccia.
Se ci si trova in uno stato di panico, il nostro ritmo respiratorio diventa più sostenuto, quindi passeremo proporzionalmente più tempo a inspirare rispetto a quando siamo calmi“, aggiunge Zelano. “Pertanto, la risposta innata del nostro corpo alla paura con la respirazione che diventa più veloce potrebbe avere un impatto positivo sull’attività cerebrale e comportare
tempi di risposta quasi immediati e – strategici – “, conclude la ricercatrice.
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