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La solitudine fa ammalare il corpo

Articolo di Marco Pacori pubblicato su “Profilo Salute”, n. 2 anno XII, marzo aprile 2018, pag. 90 – 91 – link: Profilo Salute.

Trascorrere del tempo da soli non viene visto di buon occhio dalla società, eppure é una condizione che ha i suoi vantaggi: ci consente di recuperare le forze, raccogliere le idee, concentrarci, seguire i nostri ritmi, prenderci i nostri temp; ricavare i nostri spazi e fare altre cose positive.


Diverso é quando sentiamo di essere emarginati, respinti, schivati: allora, non si tratta di una scelta, ma di un isolamento obbligato.
Questa “clausura” per una specie così sociale come la nostra provoca una penosa sofferenza; il dispiacere é tale che non solo affligge il nostro umore, ma ha pesanti ripercussioni sullo stato di salute.


La solitudine non ha età: é una condizione che può affliggere, un adulto, come un bambino, ma sicuramente le “categorie” più a rischio sono gli anziani, che a causa di limitazioni fisiche, di spostamento e una carenza di opportunità hanno più probabilità di sentirsi esclusi.

In un indagine su larga scala (1.007 persone attorno alla settantina di Goteborg in Svezia) i medici svedesi Stig Berg, Dan Mellstrom e altri studiosi hanno evidenziato che la solitudine é uno stato che affligge il 24% delle donne e il 12% degli uomini.

Chi vive in “isolamento” è più cagionevole di salute (o comunque si ammala più facilmente); inoltre, tende a ricorrere maggiormente ai servizi sociali, a provare senso di sconforto e mancanza di energia e a fare un uso eccessivo di ansiolitici e antidepressivi.

In questa indagine non risultava che il ricorso a farmaci coincidesse con un effettivo stato di malattia (probabilmente, si trattava, quindi, di un modo indiretto per ricevere delle attenzioni).

Altri studi mostrano, però, che tutto il nostro organismo risente in modo pesante di questa condizione.
Per primo, é il cervello a pagarne lo “scotto”: quello di chi é solo funziona in modo diverso. Lo hanno dimostrato i neuroscienziati Stephanie Cacioppo e suo marito John Cacioppo.

Il loro studio ha, per prima cosa, messo in luce, che sul piano emotivo, le persone sono più sensibili alle minacce sociali: il loro cervello aumenta lo stato di attività in presenza di estranei.

Quando ci sentiamo socialmente isolati, il nostro sistema nervoso centrale passa automaticamente in “modalità di autoconservazione”, stato che ci rende più circospetti e intimiditi, anche quando non c’è nessuna minaccia reale (come potrebbe essere, ad esempio, incontrare individui autoritari, fare un esame o un colloquio di lavoro – ed essere quindi sottoposti ad un giudizio – , stare a contatto con persone critiche e accusative).

Per giungere a questa conclusione, i due ricercatori hanno somministrato un “questionario sulla solitudine” a 38 persone che si definivano molto solitarie e ad altre 32 che, per loro ammissione, sentivano di essere ben volute e accolte dagli altri. Per lo studio è stato utilizzato lo strumento più antico per la rilevazione del funzionamento del cervello, l’elettroencefalografo; in questo caso, però l’obiettivo non era l’individuazione di anomalie, ma la rilevazione delle eventuali corrispondenze tra picchi di attività cerebrale a specifici stimoli.

Questi stimoli erano parole come “appartenere”, “abbandono”, “solo”, “solitario”, “gioia” e “triste” , “socievole”, “schivo” e così via. L’esame degli esiti, ha dimostrato che, rispetto a chi viveva in “buona compagnia”, in chi era solitario il cervello si “allertava” di fronte a espressioni che rimandavano alla sua situazione o a circostanze di disagio sociale.

In questo modo, è stato provato che chi vive la solitudine è particolarmente sensibile al rifiuto e si sente in soggezione a contatto con gli altri (pur desiderando la presenza di qualcuno nella propria vita).

Una ricerca analoga, condotta dai neuroscienziati Ryota Kanai, Bahador Bahrami, Brad Duchaine e altri studiosi che, ha esaminato gli spessori delle aeree cerebrali di individui che patiscono la solitudine e altri senza questo problema.
Si é così, evidenziato che nei primi è stata riscontrata una riduzione di materia grigia nel solco temporale posteriore sinistro (pSTS), una regione coinvolta nella percezione delle relazioni umane; questa rarefazione, si è accertato, va di pari passo con la difficoltà ad interpretare i messaggi interpersonali.

Il cervello non è l’unica vittima di questa “afflizione dell’anima”. Una meta-analisi (un “tirare le somme” degli studi condotti su un certo tema) dei medici Nicole Valtorta, Mona Kanaan, Simon Gilbody, assieme ad altri colleghi sul rapporto tra disturbi cardio-vascolari e solitudine ha messo in evidenza dei dati allarmanti al riguardo.
I ricercatori hanno esaminato 23 studi che hanno coinvolto circa 181.000 adulti.


In questo vasto campione sono stati registrate 4.628 emergenze cardiache, come disturbi al cuore, attacchi di
angina o addirittura morte e circa 3.000 infarti.
L’esame dei dati hanno dimostrato che la solitudine, l’isolamento sociale o entrambi erano associati ad un aumento del rischio di infarto del 29% e all’insorgergenza di ictus superiore del 32% rispetto a chi era ben integrato.
Valori assimilabili al tabagismo e all’obesità!


Il sistema cardio-circolatorio non é l’unico apparato a subire gli effetti delle solitudine.
 Anche il sistema immunitario ci “lascia le penne”. Lo hanno provato i biologi Steven Colea, John Capitanio, Katie e altri ricercatori.
Questi studiosi, hanno, infatti provato empiricamente come la sensazione di essere “fuori dai gregge” porta ad una maggiore vulnerabilità alle malattie, appunto, a causa di uno scompenso del sistema di difesa dell’organismo.
La loro indagine, che ha coinvolto un gruppo di partecipanti umani e di scimmie rhesus (con un comportamento sociale altamente sviluppato), ha preso spunto da studi condotti in precedenza.


Queste ricerche, hanno messo in evidenza che la solitudine nell’uomo suscita uno stato di ipervigilanza con il coinvolgimento del sistema organico di risposta allo stress.
Anche negli animali, la percezione dell’isolamento determina l’attivazione del sistema nervoso simpatico (SNS – la modalità che si attiva nelle emergenze); qui é stato accertato che questa condizione, mediata dagli ormoni dello stress, provoca nel midollo ossesso (dove vengono prodotte le cellule immunitarie)
lo sviluppo di monociti e neutrofili (globuli bianchi) immaturi, quindi inadatti a fronteggiare gli agenti patogeni; inoltre, una più efficaci molecole antivirali, l’interferone di tipo 1, appare fortemente carente in chi é solo.

Per approfondire
Il Linguaggio Segreto dei Sintomi

Lo studio, che ha coinvolto 141 anziani e delle scimmie ha ribadito quanto emerso: sentirsi soli o essere “messi al bando” hanno riportato un decifit del sistema immunitario, con, come conseguenza, determina una ridotta capacità di combattere le infezioni virali è una tendenza ad una aumentata risposta infiammatoria, che, a sua volta, é causa delle malattie autoimmuni.
Insomma, se é vero il detto meglio soli che male accompagnati, é anche vero che stare quasi del tutto privy di amici o conoscenti e evitare le occasioni di incontro mina fortemente il nostro stato di salute.

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