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I nuovi psicofarmaci

La nuova frontiera degli psicofarmaci

Il nostro organismo è una vera e propria cultura “in vivo” di microbi.

Il loro complesso prende il nome di “microbiota” e, per quanto l’idea di avere un focolaio di batteri dentro di sé possa apparire inquietante, per lo più svolge delle funzioni utili alla salute.

Se ne trovano dappertutto: in superficie (ad esempio, il microbiota della pelle) e nelle regioni più intime, come nella bocca (il microbiota orale), nella vagina (il microbiota vaginale), e così via.

La “compagine” microbica più importante é, però, la cosiddetta “flora intestinale” che appunto risiede nelle nostra interiora: quest’ultima é un vero organo nell’organo.

Non si tratta infatti, di un accozzaglia di batteri, ma di un congegno estremamente sofisticato in cui i diversi ceppi di microbi svolgono una funzione precisa e coordinata.

L’alterazione di questa “architettura” nascosta porta a numerosi scompensi, che vanno dai disturbi intestinali come la “sindrome del colon irritabile”, allo sviluppo di malettie infettive, infiammatorie e perfino ad modificazioni della chimica e delle funzioni cerebrali.

I microrganismi del nostro intestino producono numerose sostanze chimiche, e, tra queste, le stesse molecole usate dai neuroni cerebrali per comunicare e regolare l’umore, come la dopamina, la serotonina o l’acido gamma-aminobutirrico (GABA): questi composti risalgono il percorso per il cervello e ne modificano il funzionamento.

Questa influenza, in ogni caso, é a doppio senso: come le sostanze rilasciate dai batteri dell’intestino condizionano l’attività cerebrale, così il cervello (sempre attraverso gli stessi mediatori chimici) altera la flora intestinale.

Molte indagini al riguardo sono stati condotti sui topi, ma una recente ricerca condotta da Kirsten Tillisch, Jennifer Labus, Lisa Kilpatrick assieme ad altri studiosi ha dato prova che gli stessi effetti valgono per gli esseri umani.

La ricerca ha coinvolto 36 donne di età compresa tra i 18 e i 55 anni, in salute e senza problemi digestivi o gastrici.

Le partecipanti sono stati divise in tre gruppi: il primo ha mangiato uno yogurt contenenti una miscela di diversi probiotici (dal provato effetto positivo) per due volte al giorno e per un periodo di quattro settimane.

Un altro gruppo ha consumato un prodotto lattiero-caseario che sembrava e sapeva di yogurt, ma non conteneva probiotici. Infine, un terzo ha mantenuto l’alimentazione solita.

Per verificare se ci fosse stato qualche cambiamento nella loro attività cerebrale, tutte le volontarie sono state sottoposte a risonanza magnetica funzionale (fMRI – una tecnica per visualizzare il cervello in azione) sia prima della dieta, sia al termine dell’arco di tempo preso in esame.

La fMRI é stata effettuata in due diverse condizioni: a riposo e mentre le donne svolgevano un test di riconoscimento delle espressioni facciali di rabbia o paura: il compito assegnato consisteva, dopo aver visto i volti con queste mimiche, nell’abbinarli ad altre facce che mostrassero le stesse emozioni.

Dai risultati, é emerso che in chi avevano ingerito regolarmente i probiotici era stata rilevata una maggiore connessione tra una struttura chiave del tronco encefalico, nota come sostanza grigia periacqueduttale, che modula lo stato di attività generale del cervello e la corteccia prefrontale; detto altrimenti, questo significa che indirettamente i batteri assunti con lo yogurt potenziavano la capacità di autocontrollo delle emozioni.

Per contro, nelle donne che non avevano seguito nessun regime alimentare era stato riscontrato una connessione più elevata sempre della sostanza grigia periacqueduttale, ma con le aree deputate all’elaborazione emotive: a indicare che una maggiore suscettibilità alle emozioni.

Quanto a chi aveva mangiato il prodotto simil-yogurt, mostrava una condizione a metà fra gli altri due gruppi.

Anche l’esame dell’attività cerebrale durante il compito aveva dato risultati interessanti: le partecipanti che avevano fatto gli spuntini di yogurt, a confronti con gli altri due gruppi, mostravano una ridotta attività dell’insula (la regione in cui affluiscono le sensazioni interne del corpo – ad esempio, quelle derivanti dall’intestino) e della corteccia somatosensoriale (che riceve ed elabora il senso del dolore): nel complesso, quest’esito suggeriva una maggiore salute dell’organismo e una minore reattività agli stimoli emotivi.

Un risultato in linea con un altra indagine, condotta però solo sui roditori, in cui erano stati somministrati degli antibiotici (che hanno notoriamente l’effetto di distruggere la flora intestinale).

Per approfondire
Il Linguaggio Segreto dei Sintomi

I topi che erano stati “inbottiti” di farmaci avevano una maggiore quantità di una proteina cerebrale chiamata fattore neurotrofico derivato o BDNF rispetto ai topi di controllo: una sostanza coinvolta, quando aumenta il suo livello,
nello sviluppo di depressione ed ansia.

Studi come questi mettono in evidenza quanto sia stretto il legame tra cervello e il “comparto intestino-flora intestinale” e quanto, per essere in forma ed equilibrati sia importante prenderci cura dell’uno e dell’altro.

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