
La distanza interpersonale
Non si tratta di prudenza, o di essere boriosi, ne di un disturbo della percezione: ognuno di noi é circondato da una “bolla invisibile” e immateriale chiamata spazio vitale che si estende attorno a noi per uno spazio che dai vai pochi centimetri a qualche metro a seconda del sesso di appartenenza, della cultura, della personalità, dell’umore e del rapporto che abbiamo con gli astanti.
Fino adesso si pensava che solo una violazione fisica (come fare dei passi verso di noi, allungare un braccio così da portare la mano vicina al nostro corpo, piegarsi dietro di noi per sbirciare il giornale che stiamo leggendo) potesse “comprimere” questa bolla, procurandoci un senso di oppressione o insofferenza; ma ora un nuovo studio ha dimostrato che anche un argomento o un tono sgradevole possono darci fastidio, anche se le distanze vengono mantenute invariate.
La ricerca, condotta dagli psicologi Eleonora Vagnoni, Jessica Lewis, Tajadura-Jiménez e Flavia Cardini, ha coinvolto 33 volontari (di cui 21 donne) di età compresa fra i 18 e i 30 anni cui sono state fatte ascoltare due conversazioni registrate: la prima in cui toni si facevano progressivamente più accesi; l’altra che restava per tutto il tempo neutra.
Dopo l’ascolto, i ricercatori hanno voluto verificare se le due registrazione avessero suscitato un effetto diverso sul piano della sensibilità all’avvicinamento fisico: a questo scopo hanno usato la tecnica di “stop-distance”: in pratica, ala prima seguiva una seconda registrazione, in questo caso un rumore di passi che si facevano sempre più prossimi.
I partecipanti avevano l’istruzione di spegnere la registrazione nel momento in cui avessero provato un senso di disagio. Gli studiosi avevano preferito scegliere un suono di passi piuttosto che un filmato di qualcuno che camminava facendosi sempre più vicino per evitare l’impatto dell’aspetto fisico.
L’analisi dei tempi di stop ha messo in luce che chi aveva sentito prima il “battibecco”, fermava prima la registrazione dei passi rispetto a coloro che avevano sentito la chiacchierata: “convertendo” il tempo in cui veniva dato lo “stop” in centrimentri, si é appurato che era come se i primi avessero bloccato l’intrusione quando chi si avvicinava si trovava a 7 metri e i secondi quando era a 4,5 metri.
Questo esito da prova che quando in una scambio verbale i toni si fanno accesi o volano parole grosse il percipiente avverte un senso di minaccia e si comporta come se fosse stata violata la distanza interpersonale; sul piano non verbale, uno potrebbe fare un passo indietro, ritirare il busto se seduto o arretrare con il tronco e la testa.
Quanto è emerso nella ricerca citata è la prova dei processi di generalizzazione degli stimoli studiata dalla corrente psicologica nota come comportamentismo.
In base a questo processo, se si viene condizionati ad avere una certa risposta (es. paura) rispetto ad uno stimolo, tenderà a farlo anche con stimoli simili (pure quando la somiglianza é vaga).
In un classico esperimento noto come “Little Albert”, i ricercatori John Watson e Rosalie Rayner hanno condizionato un ragazzino a temere un topo bianco.
I ricercatori hanno, poi, osservato che il ragazzo ha sviluppato una generalizzazione dello stimolo mostrando paura in risposta a stimoli simili tra cui un cane, un coniglio, una pelliccia, una barba di Babbo Natale e persino i capelli bianca di Watson.
Tornando, ora, al nostro studio abbiamo appurato che una risposta ad una possibile minaccia (la prossimità fisica, che espone maggiormente al rischio di un aggressione) viene prodotta anche quando chi parla, sbraita o usa parole offensive o minacciose: in pratica, si generalizza lo stimolo, “interpretando” un tono accesso come se fosse una violazione della distanza interpersonale.
Per approfondire |
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Lo stesso fenomeno può presentarsi in modo ancora più sottile: così, se stiamo parlando con qualcuno e, esprimiamo la nostra opinione politica possiamo notare che, proprio in quel momento, l’interlocutore fa una passo indietro; questa reazione ci indica che é in disaccordo con la nostra posizione e che prende letteralmente le distanze da noi.
Oppure, se diciamo la parola “topo” e la persona con cui parliamo arretra significa che verosimilmente ha la fobia dei topi.
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