
I batteri intestinali possono spingere ad abbuffarsi
La fame nervosa o l’abbuffata (noti anche come “binge eating“) spesso sono causate da un senso di frustrazione, delusione o da malumore. Una nuova ricerca ora mette in luce che questi comportamenti compulsivi possono essere promossi da un’alterazione del metabolismo intestinale.
Mettere “qualcosa fra i denti” non è semplicemente la conseguenza dell’essere affamati; possiamo mangiare per diversi altri motivi: ad esempio, per gola, noia, tristezza, delusione e così via.
In linea generale, la ricerca del cibo é regolata da due tipi di meccanismi biologici; il primo serve al “mantenimento” ed è definito “omeostatico”: in sostanza, avvertiamo una spinta a nutrirci per provvedere al fabbisogno dell’organismo; il secondo, noto come bisogno edonico, induce a mangiare per gola.
Il percorso omeostatico controlla l’equilibrio energetico aumentando la motivazione a cibarsi quando avvertiamo che i depositi di energia vanno in esaurimento. Al contrario, la regolazione edonica si attiva per soddisfare le esigenze del palato e può scavalcare il processo omeostatico, (anche in condizioni di relativa abbondanza di riserve) aumentando il desiderio di consumare alimenti altamente succulenti.
Paradossalmente, a differenza delle persone in forma, sono proprio gli individui in sovrappeso a mangiare di più, per gola e, soprattutto, a scegliere cibi succulenti. Un tempo, si pensava che chi ha un peso forma mangiasse in modo misurato per ragioni biologiche, (ad es. sentirsi sazi o pieni) ma dei recenti sondaggi suggeriscono che costoro, in buona parte, si danno un limite consapevolmente, cioè scelgono di non abbuffarsi o di indulgere all’ingordigia.
Chi per una pietanza o per un particolare sapore, tutti abbiamo una debolezza alimentare. Questo accade perché anche chi segue una dieta sana, non può scindere del tutto la necessità di nutrirsi dal piacere nel farlo: il cibo, così come il sesso, ha un importante valore biologico; per questa ragione viene vissuto come un ricompensa naturale.
A renderlo appagante e a motivarci a “rimpinzarci” ci pensa il processo, che a partire dall’assunzione di cibo, determina il rilascio di dopamina, un neurotransmittore in una regione primitiva del cervello che prende il nome di nucleo accumbens. La stimolazione ripetuta di questo percorso, come accade negli obesi, indebolisce il controllo sul l’alimentazione e causa un consumo compulsivo di cibo.
Un’indagine degli psichiatri o Karen von Deneenab è Yijun Liu ha dimostrato, con l’impiego della fMRI (risonanza magnetica funzionale) che le persone in sovrappeso i circuiti dopaminergici sono alterati, tanto che anche nella cosiddetta sazietà post-prandiale (il senso di pienezza che si avverte dopo i parti) continuano a provare la voglia di “qualcosa di buono”.
Quelli elencati non sono gli unici responsabili della fame nervosa … si é, infatto, scoperto un insospettabile colpevole della spinta alle abbuffate: una modificazione del metabolismo intestinale. Lo prova uno studio dei gastroenterologi Emeran Mayer, Vadim Osadchiy, Jennifer Labus, assieme ad altri colleghi.
La loro ricerca ha coinvolto 63 persone sane, che hanno, per prima cosa, sottoposto a fMRI. Successivamente, sono stati raccolti e analizzati dei campioni fecali di questi soggetti per determinare la presenza di particolari metaboliti intestinali. Infine, i partecipanti hanno completato dei questionari che misuravano la loro propensione alla dipendenza da cibo e la tendenza ad essere ansiosi.
Messi assieme i dati emersi dai diversi strumenti diagnostici, gli studiosi hanno rilevato una curiosa coincidenza tra una specifica anomalia del metabolismo intestinale e un alterazione del funzionamento delle aree cerebrali legate alla ricompensa (quelle, appunto, che usano come “moneta di scambio” la dopamina).
Nello specifico, l’esame delle feci in alcuni soggetti mostrava una presenza eccessiva del metabolita “indolo”, un prodotto di scarto del metabolismo del triptofano; questo amminoacido è un precursore della serotonina, la cui scarsità nel cervello è legata ai disturbi dell’umore e, in particolare, alla depressione.
In queste stesse persone, era stata riscontrato un aumento degli scambi tra nucleo accumbens (in cui circola la dopamina) e l’amigdala (la regione emotiva del cervello); queste ultime, inoltre, riconoscevano di avere una certa inclinazione a margiare per gola e di avere essere piuttosto apprensivi. Secondo gli autori, é propria l’aumentata connettività tra le due strutture cerebrale a provocare un incremento dell’ingodigia.
il come questo accada, spiegano gli autori dello studio, appare legato ai processi innescati proprio dalla abnorme presenza di una indolo.
Per approfondire |
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L’indolo nel breve determina un aumento della secrezione di GLP-1 (Glucagon-like-peptide-1, una sostanza presente nell’intestino tenue e nel colon che, chimicamente, provoca un senso di pienezza e quindi inibisce la fame).
Alla lunga o se (come in questo caso) l’indolo è prodotto in modo massiccio, quest’ultimo provoca, invece, una diminuzione del GLP-1; questo calo stimola le terminazioni del nervo vago (il lungo cordone che collega intestino e cervello) e invia un messaggio al nucleo del tratto solitario (l’unico nucleo del tronco encefalico che è viscero sensitivo, cioè capta i segnali dai visceri) e da qui al circuito della ricompensa, dove stimola la dopamina che toglie il senso
di sazietà.
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