
Il linguaggio del corpo della depressione
Chi è depresso o, semplicemente di cattivo umore, assume un modo tipico di caminare. Lo hanno scoperto gli tedeschi psicologi Johannes Michalak, Nikolaus Troie, Julia Fisher e Julia Fischer.
Chi è giù di corda tende a muoversi in modo strascicatoh, tiene le braccia quasi parallele al tronco e rizza il collo; inoltre, spesso sbanda lateralmente (un po’ come fosse ubriaco).
Rose Collins, dottoranda alla Iowa State University, con uno studio, ha messo in evidenza che i depressi usano in modo tipico anche i gesti: per prima cosa, ne fanno pochi rispetto a chi è “sano”; per contro rispetto a questi ultimi usano più gesti deittici (una specie di frecce per indicare la direzione) e che nei depressi sono usati, a detta dell’autrice dell’indagine, verso di sé esprimendo così la tendenza all’egocentrismo del loro pensiero a indirizzare l’attenzione dell’altro sul loro stato di malessere. Un’altro tipo di gesti che vengono esibìti sono quelli ideografici (movimenti delle mani che servono a descrivere un oggetto, una condizione o una dinamica); in questo caso, il loro uso é un tentativo di aiutarsi con i gesti per esprimere a parole il loro stato d’animo e la contorsione delle loro riflessioni).
Già nella tenera infanzia si possono riconoscere i bambini che soffrono di depressione dal loro comportamento, afferma un team di ricercatori, guidati dallo psicologo Alan Kazdin, dopo un attenta analisi di 104 piccoli depressi. I loro movimenti appaiono come rallentati: hanno tempi di reazione esageratamente lunghi, gesticolano poco e tendono ad assumere posture raccolte e a orientare i contatti soprattutto al proprio corpo. A livelli espressivo mostrano una mimica facciale ridotta e il loro tono di voce suona piatto, uniforme e quasi afono. Inoltre, appaiono spesso corrucciati e facili al pianto.
Un nuovo studio, condotto dagli psicologi inglesi Mohammed Al-Mosaiwi e Tom Johnstone, ha ora messo in luce indizi inediti che segnalano la depressione: il modo di parlare.
I due ricercatori hanno esaminato il linguaggio dei depressi attingendo a diverse fonti: scritti, diari, blog sul tema e persino dai testi della canzoni di artisti notoriamente umorali, come Kurt Cobain o Edith Plath. Hanno, poi, confrontato queste fonti con altre analoghe, ma di individui che non soffrivano di questo disturbo.Per velocizzare l’analisi hanno usato ehi appositi programmi per computer.
Premettiamo che l’espressione linguistica può essere suddivisa in due componenti: contenuto e stile. Gli studiosi anglosassoni hanno rilevato che sia le une che le altre erano particolari nei depressi.
Ad esempio, nei contenuti era emersa una grande quantità di espressioni che indicavano emozioni negative, specie negli aggettivi e negli avverbi: – “solitario”, “triste”, “miserabile”, “vuoto”, ecc.
L’aspetto più interessante è emerso dal l’esame dello stile. Chi soffriva di questa patologia, tendeva a fare un uso particolare dei pronomi: più precisamente, i depressi tendevano ad fare un impiego massimo di pronomi in prima persona, come “me”, “me stesso” e “io” – e significativamente meno pronomi di seconda e terza persona – come “loro”, “loro” o “lei”.
Questo modo di esprimersi é coerente con altre indagini sui depressivi che hanno messo in luce che chi ne soffre é incline a focalizzarsi su loro stessi e essere piuttosto incuranti degli altri.
Per approfondire |
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Inoltre, esaminando i post di 64 forum on line sulla salute mentale (che complessivamente) avevano 6400 membri è stato possibile isolare un’altro
marker linguistico della depressione: l’uso smodato di avverbi dal valore assolute, come “sempre”, “mai”, niente”, ecc.
A paragone, con forum che trattano di altri argomenti, i ricercatori hanno appurato che quelli centrali su mi disturbi dell’umore o sull’ansia hanno il 50% in più di espressioni assolute e in quelli che parlano di suicidio ne contengono addirittura l’80% in più. In questo modo, commentano gli autori, chi e depresso mostra di avere una visione in bianco e nero del mondo.