In una discoteca o in un bar, uno può, ad esempio, fissare un’altra persona dall’alto lato della sala: se chi viene puntato, ricambia lo sguardo viene interpretato come un segno di disponibilità allo scambio; per contro, se il “bersaglio” volge lo sguardo altrove (specie con un netto movimento della testa) indica un rifiuto.
Se chi parla, guarda negli occhi l’interlocutore o i presenti in un uditorio mentre parla appare più preparato, affidabile e serio: per questo motivo, relatori, politici o venditori spostano frequentemento lo sguardo sulle singole persone durante una presentazione o una conferenza stampa.
Tenere lo sguardo fisso sul’altro é comune fra partner, genitori e figli (specie se piccoli) o amici, ma questo comportamento può essere osservato anche in chi vuole sedurre qualcuno o intende sfidarlo.
Lo sguardo gioca un ruolo cruciale nella conversazione: portare lo sguardo sull’altro é un modo per controllare l’effetto delle proprie parole o dei propri argomenti, per testare l’attenzione dell’interlocutore o per sottolineare in questo modo alcuni punti di ciò che si sta dicendo.
Inoltre, lo scambio di occhiate viene usato anche come forma di sincronizzazione dello scambio verbale. Le persone, ad esempio, tendono a guardare l’altro negli occhi al termine di una frase per indicare al partner che il suo turno nella converazione oppure, possono guardare l’altro e mantenere lo sguardo anche se fanno una breve pausa per far capire che intendono continuare a parlare.
Per contro, spesso distolgono lo sguardo quando esitano, parlano in modo non fluente o stanno pensando a cosa dire.
Guardarsi negli occhi non solo é segno di intimità o confidenza, ma può essere una modo per promuovere questa condizione.
Ne hanno dato prova gli psicologi Dena Cordell e Joseph McGahan con uno studio. La loro ricerca ha coinvolto 14 coppie miste di sconosciuti che erano stati invitati a discutere per 8 minuti su un argomento proposto dai ricercatori; nel contempo, l’interazione veniva filmata.
L’analisi delle riprese ha messo in luce che la durata degli sguardi reciproci era più lunga negli ultimi 2 minuti rispetto ai primi due. Questo cambiamento suggerisce che, dopo un po’ che due persone conversano su argomenti informali si sentono maggiormente a proprio agio e che più aumenta il contatto visivo maggiore é la sensazione di “familiarità” verso l’altro.
In un’indagine analoga di Joan Kellerman, James Lewis e James Laird sono state create coppie di sesso opposto tra estranei. Ai partecipanti é stato chiesto di guardare per due minuti le mani o gli occhi del partner oppure di contare il numero di battiti che faceva.
Ne é emerso che chi portavo lo sguardo sugli occhi dell’altro ed erano ricambiati avevano avvertito un’affinità con l’altro superiore a tutte le altre condizioni sperimentali. inoltre, tranne che nella situazione della conta dei battitti, i soggetti riferivano di aver provato un senso di simpatia per il partner.
I nostri cugini primati, vivendo in gruppo, devono “accordarsi” su chi comanda; buona parte delle volte, invece di inutili versamenti di sangue, stabliscono le gerarchi con innocui giochi di sguardo. Lo stesso facciamo noi, esseri umani… in modo automatico.
Lo hanno dimostrato i ricercatori David Terburg, Nicole Hooiveld, assieme ad altri colleghi dell’Università di Utrecht nei Paesi Bassi.
Lo scopo apparante dello studio era studiare la percezione visiva: ai soggetti era stato detto di guadare uno schermo di un computer: lì sarebbero comparsi degli ovali colorati di blu, verde e rosso e sotto di essi dei puntini dello stesso colore o di un altra tinta.
Quando i colori coincidevano, i partecipanti dovevano distogliere lo sguardo. Quello che i soggetti non sapevano era che, una frazione di secondo prima che apparisse la forma ovale veniva proiettato un volto dello stesso colore con un’espressione arrabbiata, felice o neutra.
Mentre, i soggetti eseguivano il compito, i ricercatori misuravano il tempo che ci mettevano a portare lo sguardo altrove.
Successivamente, i soggetti hanno compilato un questionario per determinare quanto fossero dominanti o gregari nelle situazioni sociali.
E’ risultato che quanto più uno era un “condottiero” tanto più lentamente distoglieva gli occhi dall’ovale che era preceduto dal volto incollerito; per contro chi cercava l’approvazione negli altri sostava più a lungo a fissare la forma, cui veniva sovrapposta una faccia sorridente.
A meno che non ci sia una grande intimità, le persone non gradiscono di essere fissate a lungo. C’è modo di capire quando é il momento di distogliere lo sguardo per non creare imbarazzo o stizza?
Per approfondire |
Se lo sono chiesti gli psicologi Nicola Binetti, Charlotte Harrison, Antoinele Coutrot e altri colleghi.
Nella loro indagine hanno realizzato che lo si può cogliere osservando quanto si dilata la pupilla nel momento in cui persona ne incontra un’altra.
Se “il diaframma” dell’occhio si dilata visibilmente in quella circostanza significa che la prima sarà portata a mantenere un contatto visivo moderatamente lungo; per contro, se si dilata poco o rimane inalterata vuol dire che uno é piuttosto insofferente verso questa forma di confidenza.
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