
L”obesità dipende dal rapporto cervello-intestino
Non è un caso, quindi, che l’obesità sia un problema in costante aumento nella società occidentale.
Naturalmente, le radici di questa condizione non è solo sociale: alla sua base ci sono cause genetiche, biologiche o psicologiche, ma, come ha provato una recente ricerca, anche ragioni legate allo stretto legarne cervello-intestino.
Secondo un modello classico formulato dagli psicologi Stanley Schacter, Roland Goldman e Andrew Gordon le persone in forma mangerebbero quando avvertono un senso di fame e smetterebbero di farlo quando provano una sensazione di sazietà; per contro, gli obesi sarebbero meno consapevoli delle proprie sensazioni viscerali e baserebbero l’assunzione di cibo su segnali esterni, come l’orario dei pasti o l’esposizione a cibi golosi.
Studi successivi hanno però ridimensionato questa teoria: questi hanno, infatti, messo in luce che gli individui normopeso non risultano più attenti all’esperienza. Interiore rispetto a chi è sovrappeso; sembra, invece, che questi ultimi cedano più facilmente alle tentazioni quando il loro appetito venga stuzzicato.
Anche lo stato emotivo conta: maggiori sono le frustrazioni, lo stress, i malumori più si tende a trovare appagamento nel cibo; in chi, è di suo una buona forchetta, questa forma di sfogo tende a diventare presto un’abitudine.
La causa è però non é tutta nella “testa” o, almeno, non nell’accezione che diamo a questa espressione.
Una nuova ricerca condotta sui topi (che non sono propriamente dei grandi “cervelloni ” ?) ha dato prova che la spinta ad abbuffarsi che porta all’obesità è dovuta ad un’integrazione fra una molecola prodotta dal tessuto adiposo, la leptina, i suoi recettori nel cervello e un’ormone prodotto dall’intestino, il GIP (peptide inibitorio gastrico).
Lo studio, condotto dai biologi Kentaro Kaneko, Yukiko Fu, Hsiao-Yun Lin, Elizabeth Cordonier, assieme ad altri colleghi è partito dalla conoscenza che la leptina, un ormone prodotto dal grasso corporeo, invia al cervello il “segnale” di stop agli approvvigionamenti (responsabile del senso di sazietà).
Per prima cosa, i biologi si sono posti l’obiettivo di individuare quale componente chimico cerebrale fosse in grado di bloccare l’effetto della leptina e l’hanno identificato proprio nel GIP.
Nel corso dell’esperimento che ne è seguito, hanno constatato che I topi che consumavano una dieta ricca di grassi mostrano alti livelli di polipeptide inibitorio gastrico (GIP): l’eccesso di GIP arriva, attraverso il flusso sanguigno al cervello (nello specifico, nell’ipotalamo – sede del senso della fame); qui, legandosi ad uno specifico recettore, inibisce l’azione della leptina; di conseguenza, gli animali continuavano a mangiare e mettevano su peso.
Per accertare il ruolo della massa grassa in questo processo, i ricercatori iniettato nel cervello dei ratti un “interruttore” del recettore del GIP (si trattava di un anticorpo monoclonale); hanno, così, osservato che i topi “sovrappeso” nutriti con cibi ipercalorici smettevano di rimpinzarsi e dimagrivano. Negli animali magri e sfamati in modo sano (che pure venivano trattati con lo stesso anticorpo) questo effetto non si riscontrava.
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In conclusione, questa ricerca da la prova che é proprio un’alimentazione scorretta (ipercalorica) il principale responsabile dell’obesità: quanto più uno si ingozza, tanto più aumenta la concentrazione di GIP e uno perde il senso di pienezza, letteralmente, “lievitando”!