
Il pregiudizio brutto é cattivo dipende dal cervello
Gérard Depardieu, un bitorzolo “equivoco” come punta del naso.
Eppure, in momenti diversi, questi uomini e attori di successo sono stati giudicati tra i più affascinanti e attraenti al mondo.
Non tutti sono così fortunati: buona parte delle persone con sfregi, deformità o escrescenze sul volto sono oggetto di ribrezzo, discriminazione o evitamento … tutto questo a causa di un pregiudizio che induce a pensare che chi è sfigurato sia anche appestato, disonesto o portatore di “tare mentali”.
Le motivazioni di questi atteggiamenti affondano le radici nell’ignoranza, nella paura e nell’impulsivita, ma le cause profonde sono annidate in una spinta biologica tracciata nell’architettura del nostro cervello.
A darne prova sono stati Franziska Hartung, Anja Jamrozik, Miriam Rosen a capo di un team di neuroscienziati.
Questo studiosi hanno coinvolto 80 volontari (55 donne e 25 maschi di età media di 23 anni) cui sono stati fatti due test: il primo, IAT (Implicit association test) consisteva nella visione di foto del volto della stessa persona, prima e dopo un intervento chirurgico per rimediare ad un difetto estetico. Dopo l’esposizione, i partecipanti dovevamo dare un attribuzione all’individuo ritratta scegliendo fra una lista di aggettivi positivi (attraente, felice, favoloso, ecc.) e negativi (repellente, malvagio, disgustoso, ecc).
Un secondo test, EBQ (explicit bias questionnaire), invece, misurava direttamente l’atteggiamento verso le deturpazioni facciali.
Le stesse foto utilizzate nel primo test sono state nuovamente mostrate ai soggetti dell’esperimento, ma questa volta la loro attività cerebrale è stata esaminata con l’fMRI (risonanza magnetica funzionale). Nello specifico, è stata analizzata la circonvoluzione facciale fusiforme (una regione del sistema visivo specializzata per il riconoscimento dei volti).
L’ipotesi dei ricercatori era che questa si sarebbe attivata assieme al circuito della ricompensa (una catena di strutture cerebrali che procurano il senso di piacere) di fronte ai volti non sfigurati, ma non alle facce deturpate. Per contro, si sarebbe dovuta attivare assieme al circuito della salienza (cioè, avrebbe destato un interesse “morboso”) davanti ai volti sfigurati, ma non a quelli regolari.
Al momento dell’esame della scansioni della fMRI, entrane le supposizioni hanno trovato conferma.
È stato, infatti, appurato che, rispetto alle immagini degli stessi volti dopo il trattamento chirurgico, le foto di persona con deturpazioni facciali, suscitavano una maggiore risposte neurale nella corteccia occipito-temporale ventrale, in particolare in entrambe le circonvoluzioni fusiformi è nella regione destra della circonvoluzione frontale inferiore destra (implicata quando si tenta di inibire un impulso prepotente).
Queste rilevazioni sono coerenti con l’ipotesi che, di fronte ad un volto sfigurato, l’elaborazione del viso e le aree adiacenti rispondano automaticamente alla salienza dei volti: in altre parole, questi sfregi suscitano un alto grado di attenzione e siamo spinti a tenerli d’occhio (il ché spiega perché si attivi il giro frontale inferiore destro – cerchiamo di evitare di guardare in modo ossessivo).
Oltre all’aumento delle risposte nelle aree visive, è stata riscontrata una riduzione dell’ampiezza della risposta neurale ai volti sfigurati nel giro cingolato anteriore mediale (segno di un senso di distacco) e della corteccia prefrontale mediale (parte del circuito della ricompensa).
Presi nell’insieme, questi risultati dimostrano che di fronte ad un volto sfigurato, il nostro cervello promuove una risposta automatica e preconcetta che ci porta a innalzare l’attenzione, a fissare La deturpazione (è a cercare di inibire questo impulsò) e a sentirci minacciati. Nel contempo, diminuisce l’empatia e siamo indotti a provare repulsione.
Per approfondire |
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Naturalmente, queste reazioni sono frutto di pregiudizio (anche se istintivo e non razionale): sta al nostro buon senso, alla sensibilità e all’educazione controbilanciare questo atteggiamento e fare prevalere il senso di umanità.