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colloquio di lavoro e psicologia

Il colloquio di lavoro può essere una vera “fatica d’Ercole”

Il colloquio di assunzione, specie se il posto di lavoro é ambito, diventa una vera fonte di stress e una complessa manovra tattica. Da un lato dobbiamo impressionare azienda e esaminatore; dall’altro, sbaragliare la concorrenza. Come non bastasse é un guerra di “nervi” contro noi stessi per mantenere autocontrollo, lucidità e disinvoltura quando il nostro corpo ci spingerebbe a darcela a gambe levate.

Una buona preparazione é tutto … dicono. In realtà, per quanto un buon curriculum e alcuni accorgimenti prima dell’intervista possano agevolarci, il vero round si gioca essenzialmente sulla prima impressione e sulla nostra capacità di farci apparire sicuri del fatto nostro, motivati e determinati durnante lo scambio faccia a faccia … soprattutto, sul piano del linguaggio del corpo.

Chi ben comincia …

Premesso questo, fare un piano e adottare alcune strategie danno sicuramente qualche chanche in più: ad esempio, é buona regola scoprire quanto più possibile sulla ditta e sul selezionatore; così, come leggere con attenzione la proposta di lavoro e ragionare su quali aspetti di sé e della propria esperienza professionale mettere in risalto. Simulare il colloquio con un amico (soprattutto, se già si occupa del settore di cui si va a fare richiesta) e preparare delle domande argute e mirate da porre al reclutatore é un’altra buona mossa. Sul piano non verbale, apparire curati, vestire in modo elegante, arrivare con 15 minuti di anticipo rispetto all’appuntamento (non di più perché si rischia di risulare ansiosi o maniacali) paga. Anche mostrarsi gentili, cordiali e rispettosi con il personale (le qualità umane e relazionali sono molto apprezzate al giorno d’oggi) e portare con sé CV, block notes e penna (… e nient’altro! Per non risultare, maldestri, goffi o impacciati) fanno la loro parte.

Contatti ravvicinati

Le ricerche su questo tema ha messo a fuoco che alcuni aspetti del linguaggio non verbale hanno più peso di altri in questa circostanza: ad esempio, l’attitudine a sorridere, la quantità di sguardi reciproci, l’attenzione prestata al viso dell’altro, la manipolazione di oggetti (come armeggiare con una penna o far scorrere la zip della borsetta), la misura in cui tocca se stessi (lisciarsi i capelli, pizzicare la guancia o tirarsi la barba) e il tempo trascorso a parlare.

In un’intervista a “The Guardian”, Williams Wegert, esperto nel reclutamento del personale, suggerisce se si sta cercando un lavoro di dispensare sorrisi a “piene mani” “Non sto parlando di sorridere nelle interviste”precisa lo -specialista-, ma di sorridere sulla foto di LinkedIn e di farlo sulle proprie foto sui social media”.

Il consiglio di Wegert è supportato dai dati: il 60% dei datori di lavoro, infatti, utilizza il controllo dei profili sui social media come parte del processo di assunzione.

Toccare se stessi é un’arma a doppio taglio

Secondo un sondaggio, il CareerBuilder Survey, i manager hanno affermato che oltre il 34% degli intervistati tende a giocherallare con qualcosa sul tavolo e il 28% si annoda i i capelli o si passa le dita sul viso. Comportamenti come questi é meglio evitarli perché comunicano un senso di inadeguatezza e di disagio. L’impatto dell’autocontatto dipende molto da come viene fatto: appoggiare una mano sul mento mentre si ascolta o accarezzarsi di tanto in tanto i capelli sono segno di naturalezza e di spontaneità; per questo motivo, concordano gli psicologi Jinni Harrigan, Robert Rosenthal e altri colleghi, viene percepito in modo favorevole dal selezionatore. E, a proposito di quest’ultimo, una chicca: Shelly Goldberg e lo stesso Rosenthal hanno scoperto che se l’esaminatore, durante il colloquio tende a toccarsi scarpe, polpacci o calze, il suo giudizio cfinale saràprobalbilmente favorevole.

Il corpo é la carta vincente

Numerose, per altro, sono le ricerche che dimostrano quanto conti il linguaggio del corpo in questa circostanza. Ad esempio, gli psicologi Joseph Amilfitano e Neil Kalt hanno rilevato che i candidati che mostrano un maggior contatto visivo sono giudicati più attenti, intraprendenti, sicuri di sé, responsabili e motivati.

Dal canto loro, Robert Gifford, Cheuk Fan e Margaret Wilkinson hanno messo in luce che l’iniziativa nel parlare, la quantità di gesti impiegati nell’interazione e la formalità e la dell’abito suscitavano l’idea di una persona popolare è amabile.

Anche l’inclinazione al sorriso, il numero di gesti e la tendenza ad annuire, commentano in un loro studio Joyce Edinger e Miles Patterson aumentano la stima e migliorano il giudizio del selezionatore.

Parallelamente, in un’indagine di Thomas Govern e Howard Tinsley è emerso che i solo candidati che mostravano comportamenti non verbali come un contatto visivo superiore alla media, un alto livello di energia, fluidità del parlato e capacità di modulare la voce venivano ritenuto idonei per una seconda (e più approfondita) valutazione.

Per approfondire

Non si scherza!

Solitamente un sorriso è un passpartout in numerosi colloqui di assunzione; la stessa regola non vale se il requisito principale è la serietà o la mansione é tipicamente maschile, come il cronista di nera. Lo hanno provato con un originale esperimento i ricercatori Mollie Ruben, Judith Hall e Marianne Schmid Mast, pubblicando gli esiti dello loro studio sulla rivista “The Journal of Social Psychology”: si pensi ad esempio ad un ruolo di responsabile della sicurezza o di coroner: qui sorridere durante l’intervista potrebbe risultare del tutto fuori luogo.

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