L’ansia è una condizione emotiva è caratterizzata da irrequietezza e inquietudine, senso di impotenza e agitazione; non è una risposta ad un pericolo oggettivo, ma si attiva senza motivo oppure in relazione a stimoli futuri o di per sé modesti o innocui vissuti come inevitabili e incontrollabili.
Il DAP o Attacco di Panico si distingue dall’apprensione per la sua insorgenza improvvisa e devastante: i suoi sintomi vanno dal tremore, all’iperventilazione, a sensazioni di dolore al petto, tachicardia, sudorazioni fredde, senso di irrealtà: insomma, un vero e proprio incubo. Queste sensazioni suscitano, per quanto in modo immotivato, la paura di morire (la prima volta vengono spesso attribuite ad un infarto o ad un malore) e spingono la persona a cercare una via di fuga o a trovare soccorso o assistenza.
Questo disturbo è estremamente debilitante e porta chi ne soffre a limitare la propria esistenza, le sue frequentazioni e le sue abitudini per evitare l’insorgere dell’attacco (sono quindi off limits le file al supermercato, le autostrade, le gallerie, i ponti, ecc.).
Le sue origini sono molteplici: shock emotivi (incidenti automobilistici, l’assistere alla perdita di una persona cara, ecc.) pensieri subdoli che si insinuano in mente (come l’idea di soffrire di una malattia incurabile).
In genere, poi, per dare luogo al primo episodio, è necessario che l’individuo viva una buona dose di stress o un periodo in cui si senta fortemente sotto pressione,
Indipendentemente dalla causa, dal punto vista neurologico l’attacco di panico si annida in una struttura primitiva del nostro sistema nervoso centrale: l’amigdala.
Questa struttura cerebrale è la sede di tutte le nostre emozioni; la sua funzione primaria è di preservare l’organismo da possibili minacce, ma nell’essere umano è evoluta allertandosi ogni volta che uno stimolo provoca uno stato, anche minimo, di eccitazione emotiva.
Le impressioni che si creano nell’amigdala sono molto persistenti e suscitano uno stato d’allerta anche quando non ce ne sarebbe la necessità: basta una “timida” somiglianza tra l’evento minaccioso e uno stimolo esterno (che spesso passa inosservato) a far scatenare una reazione “impazzita”.
L’amigdala, così, mobilita, attraverso il rilascio di sostanze chimiche e la trasmissione nervosa un vero e proprio “codice rosso”; attiva il sistema di controllo dello stress che rilascia adrenalina e cortisolo; in questo modo prepara l’organismo al combattimento o alla fuga: i muscoli diventano più reattivi, il cuore prende a battere più velocemente, il respiro diventa accelerato, ecc.
Dal momento che non c’è niente da cui fuggire si genera anche la reazione invece (parasimpatica) e si avverte un senso di irrealtà, confusione, la sudorazione diventa profusa, l’intestino si contorce, ecc. Questa parte del cervello è inaccessibile… se non con una tecnica particolare: L’ipnosi.
Sulla base delle recenti indagini delle neuroscienze si è scoperto che l’amigdala è particolarmente sensibile alla stimolazione non verbale, cioé a dei messaggi in grado di innalzare la soglia emotiva e quindi allertare l’organismo.
L’amigdala, per altro, é particolarmete sensibile ai segnali che sono legati alla percezione di una minaccia: ad esempio, il neurologo Ralph Adolph ha scoperto che mostrare delle espressioni di paura per qualche frazione di secondo genera un’immediata attivazione dell’amigdala; lo stesso fanno delle posture associate allo spavento o all’inquietudine, come ha dimostrato la scienziata Beatrice de Gelder della Harvard Medical School; così come le vocalizzazioni (respiro ansioso, tosse nervosa, grida stridule, ecc.) ; fatto questo messo in luce dai ricercatori Shirley Fecteau, Pascal Belin, Yves Joanette e Jorge Armonyd pubblicando gli esiti della loro indagine “Neuroimage”.
Tornando ora all’ipnosi, una nuova forma di induzione, l’IPNOSI NON VERBALE ® offre un modo più diretto e rapido per agire sui disturbi d’ansia e più nello specifico, sull’attacco di panico: in modo analogo alle cause che hanno suscitato la nevrosi, questa forma di ipnosi lavora sull’emozione delle paura.
Stimolando la memoria ancestrale di stimoli legati alla percezione di un pericolo (ad esempio, vengono usato vocalizzi simili a quelli dei predatori) l’ipnoterapeuta suscita l’attenzione dell’amigdala e provoca in questa struttura uno stato di intensa attivazione; di conseguenza, si verificano tre effetti: lo sviluppo di una risposta atavica alla paura, noto come freezing o ipnosi animale (il corpo, perde il tono muscolare, il ritmo cardiaco e della respirazione si riducono, il corpo si raffredda, ecc.); il cortocircuito della corteccia prefrontale, (responsabile del nostro pensiero critico) che consente di dare spessore alle suggestioni e l’accesso all’archivio dei traumi emotivi, che da modo di disinnescare le “mine inesplose” che sono alla base del disturbo d’ansia.
Naturalmente, il fatto di suscitare la risposta d freezing é del tutto innoquo; se l’amigdala avesse un po’ di “buon senso” non cascherebbe nella “trappola”, ma per fortuna, agisce come un istinto … e l’inganno funziona!
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