I risultati di una sorprendente indagine rivelano che è sufficiente analizzare 3 minuti degli scambi non verbali in un interazione di coppia di sposi per sapere se andrà incontro
al divorzio … e con una precisione elevatissima.
Il matrimonio è un impegno per la vita, una cosa seria; così seria che probabilmente tutti avremo avuto qualche dubbio o paura al momento di pronunciare il fatidico “Sì”. Tanti sono i freni che possono rendere drammatico quel “passo”: il timore di perdere la propria libertà, di non saper gestire il ménage familiare o l’idea che forse la persona che andremo a sposare non sia quella giusta.
Magari poi, dopo qualche anno, ci accorgiamo che le nostre incertezze si sono dimostrate del tutto giustificate e ci ritroviamo a percorrere la strada della separazione o del divorzio.
A saperlo prima!
Fin adesso, per ottenere qualche previsione sul corso del nostro matrimonio, non restava che rivolgerci all’astrologo o alla cartomante. D’ora in poi, però si volta pagina: una indagine pubblicata su Family Process ha dimostrato che l’analisi della comunicazione non verbale nelle interazioni coniugali si è rivelato un fondato ed efficiente “termometro” della tenuta della coppia.
E questa la notevole scoperta che gli psicologi John Gottman dell’Università di Washington e Robert Levenson dell’Università californiana di Berkley hanno fatto sulla base di una ricerca durata ben quattro anni e che ha coinvolto un nutrito gruppo di di sposi novelli.
Per valutare la compatibilità e l’affiatamento dei coniugi, i due studiosi si sono affidati soprattutto all’esame del loro comportamento non verbale, cioè a gesti, contatti fisici, espressioni del volto, posture, ecc. Questo perché questa forma di comunicazione, si è scoperto, è molto più appropriata, rispetto al linguaggio, nell’esprimere le emozioni e il tipo di relazione esistente fra le persone (cioè chi domina in un rapporto, l’intensità dell’attrazione, la sintonia con l’altro e così via).
Osservando e catalogando i segnali del corpo espressi dalla coppia e ricontattando i partecipanti a distanza di quattro anni; Gottman e Levenson hanno appurato che sono sufficienti tre minuti di analisi dell’interazione per stabilire se il futuro di quell’unione si rivelerà roseo e stabile o se sarà un’amara delusione. E questo con un’attendibilità di ben il 92,7%!
I due studiosi hanno cominciato con il reclutare coppie di sposini attraverso il sistema di annunci sui giornali. 200 coppie hanno proposto la loro candidatura per partecipare all’esperimento. In seguito, sulla base di una batteria di test che valutavano personalità, emotività, abilità sociali e stato di salute, ne sono state selezionate 79. Questi soggetti sono stati quindi convocati ed è stato illustrato loro lo scopo dell’esperimento.
A quel punto, I due psicologi hanno invitato i coniugi a discutere su un tema su cui avevano vedute opposte per il tempo di un quarto d’ora. Le interazioni sono state quindi filmate e le conversazioni audioregistrate.
La seconda fase della ricerca ha comportato l’analisi di questo materiale, usando come metro la valutazione della loro comunicazione verbale dei partner e soprattutto le loro espressioni del volto. I ricercatori hanno distinto due classi di segnali del corpo: positivi (cioè, quelli che indicano emozioni o atteggiamenti come l’interesse, l’affetto, la gioia, ecc.) e negativi (le manifestazioni di collera, disprezzo, ostruzionismo, lo stare sulle difensive e la tendenza alla vittimizzazione).
Dopo il lasso di tempo indicato, le coppie sono state nuovamente interpellate per conoscere il loro attuale stato civile. Del campione di partenza, hanno risposto all’appello 49 coniugi o ex tali. Alcune era rimaste unite e altre avevano sciolto il proprio rapporto con il compagno.
Alla luce di questi dati, Gottman e Levenson hanno così ricontrollato le registrazioni e hanno potuto individuare con precisione quali comportamenti erano caratteristici dei matrimoni solidi e quali invece predicevano una successiva dissoluzione del legame.
Per quanto, come detto, le interazioni avessero una durata complessiva di 15 minuti, Gottman e il collega si sono resi conto che la piega che prendeva la discussione, si manifestava già nei primi tre minuti, mantenendosi pressoché invariata nel tempo restante.
Il primo dato emerso è che le coppie destinate a divorziare, esibivano in media più emozioni negative che positive; questo valeva per entrambi i sessi.
Dopo la prima “tranche” di tre minuti (sebbene questo non influisse sulla predicibilità), gli uomini che avrebbero divorziato, diventavano progressivamente più irascibili e insofferenti. A dire il vero, tutti i mariti mostravano una maggiore impazienza e stizza con il passare del tempo, ma per chi sarebbe andato incontro alla separazione questo avveniva più velocemente e con toni più aspri. Inoltre, questi ultimi esibivano parallelamente anche una riduzione delle tenerezze e delle altre emozioni positive; il cui livello invece rimaneva costante nei “bravi” mariti, ma anche, in generale, nelle donne di entrambi i gruppi.
Il copione delle interazioni era caratteristico per le coppie che sarebbero finite con il separarsi. La moglie dava il “la”, lamentandosi di qualcosa che non andava e attribuendone la causa al marito. Il marito, dal canto suo, risentito, si chiudeva di più in se stesso, si mostrava più ostile e infastidito. Alla fine della discussione, entrambi i coniugi apparivano più chiusi e di malumore, non giungevano né a compromessi né mostravano l’intenzione di voler accantonare per il momento l’animosità.
Nel corso della discussione, i coniugi destinati a separarsi assumevano frequentemente comportamenti come il consertare le braccia, evitare lo sguardo dell’altro o guardare altrove mentre il partner parlava, spolverare i propri abiti da provvidenziali capelli o altro, mostrare espressioni di collera, scetticismo, derisione o perplessità ascoltando il coniuge, sfregarsi ripetutamente il naso e altre manifestazioni di fastidio o contrarietà.
Per contro, le coppie più ben assortite, erano grado di fare un dialogo costruttivo dopo una discussione, dove danno mostra di voler “seppellire l’ascia”: assumevano pose aperte, sorridevano teneramente, accarezzano l’altro sul braccio o sulla schiena, rievocano i bei momenti passati assieme, erano capaci di sdrammatizzare, facendo qualche battuta, parlavano di una qualche attività (un viaggio, l’acquisto di nuovo mobilio per la casa, ecc.) da fare assieme o che lo implicasse.
Le coppie destinate a divorziare hanno un atteggiamento che porta a far degenerare la discussione in un litigio perché partono con il piede sbagliato. In un’indagine precedente degli stessi studiosi è stato chiesto a delle coppie dialogare; prima di un fatto quotidiano (per metterle a proprio agio); poi di un problema cronico che affliggeva la coppia e infine di qualcosa che l’uno trovava sgradevole dell’altro e l’inverso.
Ai soggetti erano stati applicati degli elettrodi alle dita per valutare la conduttività elettrica della pelle (un aumento di questa segnala sempre uno stato di tensione o stress) e altri per monitorare la frequenza cardiaca. Bene, si è osservato che alcuni individui avevano uno stato di eccitazione sgradevole prima delle discussioni; questo perché già prima di discutere si aspettavano che ci sarebbe stato uno scontro e così già cominciavano con un atteggiamento difensivo e con uno stato di allerta che pregiudicava inevitabilmente il corso delle discussione che ne seguiva. Anche chi manifestava questo atteggiamento a distanza di quattro anni avrebbe quasi sicuramente divorziato.
L’indagine ricalca e conferma gli esiti di un precedente esperimento condotto dagli stessi psicologi in modo pressoché analogo, con un gruppo di 73 coppie.
La scoperta di Goodman e Levenson non significa ovviamente che un qualsiasi diverbio di una coppia con le modalità descritte porti alla dissoluzione del rapporto, ma che se questo modo di interagire diviene una consuetudine negli scambi di coppia allora le probabilità che l’unione si sciolga sono elevate.
I numeri del divorzio in Italia:
Secondo le ultime rilevazioni Istat separazioni e divorzi sono in aumento nel nostro paese. Di ogni mille matrimoni, all’incirca 4 scelgono poi la via della separazione e 2 finiscono con il divorziare. Particolarmente “colpite”, si scopre da un recente rapporto Censis, sono le unioni formate da un italiano e da una straniera o l’inverso: una sue tre va a “rotoli”. Troppe evidentemente le differenze sociali, culturali e religiose. Sempre in base ai censimenti Istat, ci si separa più al nord (e in particolare in Valle d’Aosta e in Friuli Venezia Giulia) che al sud (il primato, in positivo, spetta al Molise). Forse perché nel meridione il senso della famiglia è più radicato o perché il maggior numero di figli, e il fatto di dover badare loro, fa da argine ai conflitti coniugali. Buona parte delle coppie decide concordemente di sciogliersi, anche se le statistiche mostrano che il “là” (l’iniziativa a separarsi) lo da la donna e il “colpo di grazia” (la richiesta di divorzio) l’uomo, specie se attorno ai 50 anni.
Cosa porta una coppia a scindere un legame?
Quando andiamo all’altare o di fronte ad un pubblico ufficiale per legarci a qualcuno, siamo convinti sia per la vita. Ma negli anni, le condizioni di vita, le convinzioni, il nostro organismo cambiano e le coppie che non sanno accettare ed adattarsi a questi mutamenti spesso finiscono con il chiudere la loro storia d’amore.
Le indagini sulle ragioni che spingono due coniugi a separarsi mettono al primo posto i problemi di natura economica; in particolare, se le preoccupazioni per le uscite diventano un costante motivo di stress, litigi e recriminazioni.
Molti sono indotti a fare questo passo anche dalla constatazione che non c’è più intesa, dialogo e complicità con il partner.
Anche il venire meno dell’impegno conta: ad esempio, il marito che delega il compito di accudire i figli esclusivamente alla moglie, l’eccessivo coinvolgimento nel lavoro, in hobby o interessi che porti a trascurare il partner e così via.
Un periodo cruciale per il rapporto di coppia si rivela poi la mezza età con le sue crisi e queste possono sfociare in un distacco: la donna va in menopausa e deve fare i conti con una sensazione di perdita della propria femminilità e del sex appeal; l’uomo, dal canto suo, si vede invecchiato e non è infrequente che adotti qualche tattica che lo faccia risentire giovane: riprende gli studi, fa pazzie o si nutre della giovinezza di ragazze spesso con meno di 30 anni con cui intesse burrascose relazioni.
Restando in tema, anche l’infedeltà, specie se il coniuge è recidivo, diventa un motivo per rompere il rapporto. Infine, cambiamenti nelle priorità, nelle credenze, nei valori possono portare i partner ad allontanarsi in modo alle volte irreparabile. Meno frequenti, ma non certo poco importanti sono poi i divorzi a causa di violenze sessuali, uso di sostanze stupefacenti e l’inclinazione al gioco d’azzardo.
Ma per i coniugi sposi novelli o comunque per le generazioni più giovani la fine del matrimonio è scritta già nelle sue fondamenta.
Questo è quanto sostiene Giuseppe Rescaldina, Psicoterapeuta del “Centro Studi Coppia” di Milano. “le coppie trovano che sia più conveniente sposarsi per motivazioni molto logiche e per una questione quasi di calcolo: vivere assieme porta a ridurre le spese, a disporre di maggiori risorse economiche e via dicendo” afferma Rescaldina. “Se prima di dividersi, una coppia poi sceglie di rivolgersi ad un consulente matrimoniale, lo fa per evitare di assumersi la responsabilità del fallimento; in realtà però ha già deciso di “chiudere”
Per approfondire l’argomento:
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Marco Pacori: I Segreti del Linguaggio del Corpo ed. Sperling&Kupfer, ottobre 2010 |
Marco Pacori: Il Linguaggio del Corpo in Amore ed.Sperling&Kupfer, ottobre 2011 |
Marco Pacori: Il linguaggio segreto della Menzogna ed.Sperling&Kupfer, ottobre 2012 |
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